L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena o di Reggio Emilia è un prodotto eccezionale, che nasce da un metodo produttivo altrettanto straordinario, dove il tempo e le mani esperte dell’uomo sono gli unici segreti. Una produzione che, dato il particolare processo produttivo, non può essere effettuata che in piccole realtà artigianali.

È uno di quei prodotti di cui noi italiani dovremmo andare particolarmente fieri perché è veramente di un’unicità rara.

Benché io sia convinta che solo la visita di un’acetaia vi possa far immergere completamente nella magia della creazione di questo prodotto, cercherò di portarvi lì almeno con l’immaginazione e farvi sentire il profumo delle botti di legno antiche e dell’aceto in maturazione.

Ma prima, se non l’avete mai assaggiato bisogna assolutamente rimediare! E vi consiglierei di cominciare da questo: Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP dell’Acetaia Malpighi.

L’ACETO BALSAMICO TRADIZIONALE DI MODENA O DI REGGIO EMILIA

L’Aceto Balsamico Tradizionale (ABT) viene definito come un condimento tradizionale della cucina emiliana ottenuto dalla lavorazione dell’uva, che viene fatta cuocere, fermentare, acetificare e in seguito invecchiare per almeno dodici anni.

Prodotto fra i più apprezzati – e imitati – della cucina italiana, dal 2000 è tutelato dal marchio di Denominazione di Origine Protetta (DOP). È riconosciuto in due differenti denominazioni: Aceto Balsamico Tradizionale di Modena e Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia.

Il processo di trasformazione dei mosti può avvenire infatti esclusivamente nel territorio delle due province emiliane di Modena e Reggio Emilia. Solo lì si trovano il clima, caratterizzato da inverni rigidi ed estati calde, e le particolari condizioni ambientali dei sottotetti delle vecchie abitazioni che permettono di ottenere questo oro nero.

Per queste ragioni l’Aceto Balsamico Tradizionale DOP non può essere ottenuto con lavorazioni industriali: la sua produzione è molto limitata e il prezzo piuttosto elevato. L’Aceto Balsamico più costoso è infatti quello DOP, che è anche uno dei prodotti più cari al mondo!

N.B. Attenzione! Non è assolutamente da confondere con l’Aceto Balsamico di Modena IGP, che come vedremo nel capitolo specifico è un prodotto composto con differenti proporzioni di aceto di vino (non presente nell’Aceto Balsamico DOP) e mosto cotto, solitamente industriale, ed è tutelato da un disciplinare differente.

LA PRODUZIONE dell’Aceto Balsamico Tradizionale

L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena o di Reggio Emilia, per potersi chiamare tale, deve avere determinate caratteristiche ed essere prodotto secondo uno specifico processo, tramandato per secoli e secoli.

Iniziamo dicendo che il solo ingrediente di partenza per produrre l’Aceto Balsamico Tradizionale è il mosto d’uva.

Per ottenerlo devono essere necessariamente utilizzate uve coltivate nei territori provinciali di riferimento, caratterizzati da un lieve tenore calcareo e dalla presenza di macro e micro elementi. Come specifica il disciplinare le uve che possono essere utilizzate devono provenire dai seguenti vigneti: Lambrusco (tutte le varietà), Ancellotta (tutte le varietà), Trebbiano (tutte le varietà), Sauvignon, Sgavetta, Berzemino, Occhio di Gatta ed in generale le uve dei vigneti iscritti alle DOC delle province di Modena e Reggio Emilia.

RACCOLTA E COTTURA

La produzione dell’ABT inizia quindi in autunno, quando l’uva è pronta per essere vendemmiata.
Una volta raccolta, l’uva fresca viene diraspata1 e pigiata per ottenere il mosto2 , ed è da qui che inizia la vera e propria produzione dell’aceto.

Entro 24 ore dalla raccolta il mosto d’uva viene messo in delle caldaie e fatto cuocere lentamente ad una temperatura tra gli 80 e i 90°C, per tradizione a fuoco diretto ed in recipienti aperti. La durata del procedimento è variabile, ma è generalmente compresa tra 12 e 36 ore. La cottura deve essere lenta e controllata per evitare surriscaldamenti locali che conferirebbero l’odore di bruciato. Il mosto viene in questo modo concentrato fino alla riduzione a circa 2/3 della massa totale, ottenendo di norma una concentrazione finale degli zuccheri del 30-35%.

FERMENTAZIONI

Terminata la cottura il mosto cotto viene trasferito in una prima botte di grandi dimensioni (anche chiamata Badessa) dove avverranno la fermentazione alcolica e la biossidazione acetica.
La quasi raddoppiata concentrazione zuccherina e la sterilizzazione, frutto della cottura, predispongono il mosto ad accogliere particolari lieviti, responsabili della fermentazione degli zuccheri, o fermentazione alcolica3. È dovuta a lieviti del genere Saccharomyces e del genere Zygosaccharomyces, specie che riescono a proliferare in una concentrazione zuccherina elevata. 

PER SAPERNE DI PIÙ

Spesso, soprattutto nelle batterie con un numero ridotto di barili, oppure in presenza di due o più batterie, come badessa viene utilizzata una botte di dimensioni decisamente superiori. È una botte esterna alla batteria utilizzata come contenitore dedicato esclusivamente alla fermentazione e acetificazione del prodotto. In tal modo viene controllato l’innescarsi del processo di acetificazione senza rischiare di “inquinare” il prodotto già maturato.

Questa trasformazione si innesta immediatamente e prosegue nei mesi invernali.
Con i primi tepori della primavera comincia la biossidazione acetica, in cui gli acetobatteri (Gluconobacter e Acetobacter) trasformano l’acido etilico (o etanolo) in acido acetico. Lo sviluppo dei batteri acetici è il punto più delicato del processo produttivo, tanto che la legge consente di utilizzare un innesto naturale di batteri.

I batteri acetici producono un’ampia gamma di composti oltre all’acido acetico, come zuccheri acidi (acido tartarico, malico…), cellulosa e molti composti volatili, spesso differenti a seconda della specie di appartenenza. La composizione chimica dell’ABT è quindi variabile e dipendente da vari fattori, quali il tipo di mosto, la modalità di cottura, la temperatura di fermentazione ed ossidazione, ed altri ancora.

Solo dopo aver lentamente sviluppato un elevato grado di acidità, di norma nell’autunno successivo (dopo un anno dall’inizio della produzione) il mosto sarà pronto per rincalzare l’aceto degli anni precedenti nella batteria di botti.

INVECCHIAMENTO

Siamo arrivati al momento clou della produzione dell’aceto balsamico tradizionale.

Iniziamo con il capire che cos’è una batteria. Con batteria si intende un insieme di botti di legno, che deve rispettare caratteristiche ben precise:

  • il numero dei barili deve essere dispari (non vi è una spiegazione chiara ed univoca sul perché, ma così ha sempre voluto una vecchia tradizione ancor oggi rispettata);
  • devono essere di numero pari o superiore a cinque (dato dall’esigenza di diversificare i legni, in grado di rendere più complessi gli aromi dell’aceto, ed aumentare il periodo di permanenza in batteria);
  • le botti devono essere di dimensioni diverse e disposte in ordine decrescente;
  • i legni di cui sono composte le botti devono essere pregiati e differenti tra loro: i disciplinari di produzione dei due ABT DOP stabiliscono che i legni delle botti siano quelli “classici della zona”, ossia gli “antichi dominii estensi”. Il disciplinare dell’ABTRE elenca i legni in rovere, castagno, ciliegio, ginepro, gelso, frassino e robinia. Nella definizione dei legni inserita nel Piano dei Controlli dell’ABTM, frassino e robinia non sono contemplati.

La cosa forse più interessante è la differenziazione dei legni tra una botticella e l’altra, che conferisce un prezioso bouquet di aromi e peculiari caratteristiche al prodotto finale. Ed è uno dei pochi momenti in cui i produttori possono intervenire per differenziare il loro aceto da quelli degli altri produttori. Ciascun produttore sceglie a suo piacimento legni più o meno aromatici per le sue botti e in quale ordine inserirli nella batteria per dare al proprio aceto le caratteristiche desiderate.

Proseguiamo nella produzione. Abbiamo parlato di rincalzo, che, come suggerisce il termine stesso, presuppone che le botti delle batterie siano già piene.

Differenziamo quindi due situazioni: quella in cui avviamo una batteria per la prima volta e quella in cui la batteria è già in attività.

Nel primo caso riempiremo tutte le botti nello stesso momento per ¾ o poco più del volume totale, esponendo così la massima superficie all’ossigenazione e favorendo le attività microbiologiche di lieviti, acetobatteri ed enzimi.
L’aceto verrà quindi lasciato maturare per un anno.

Una volta inserito nella batteria, il prodotto inizia la fase di maturazione ed invecchiamento, caratterizzata soprattutto da processi chimico-fisici, che danno origine a sapori e profumi sempre più complessi con la formazione del tipico bouquet del balsamico, e da una continua evaporazione che determina la concentrazione e la diminuzione del prodotto. La perdita per evaporazione è di circa il 10% del contenuto e tende ad essere maggiore nelle botti più piccole, a causa del più favorevole rapporto superficie/prodotto.

L’autunno successivo può essere effettuato il cosiddetto rincalzo (ci troviamo adesso nel secondo caso di cui parlavamo prima, in cui avevamo una batteria già avviata): ovvero, a partire dalla più piccola, ciascuna botte viene riempita della parte mancante (quella evaporata durante l’anno) col prodotto contenuto nel barile immediatamente a monte, fino ad arrivare alla botte più grande, che viene rincalzata con il mosto cotto della nuova vendemmia.

Il rincalzo viene effettuato ogni anno per minimo dodici anni.
Si tratta di una procedura decisamente simile al metodo soleras usato in Spagna e in Portogallo per l’invecchiamento dello Sherry e del Madeira, ma anche in Sicilia per quanto riguarda il Marsala.

Solo dopo 12 anni può essere effettuato il primo prelievo di quello che ormai può essere finalmente chiamato Aceto Balsamico Tradizionale. Il prelievo viene effettuato solo dall’ultima botte, la più piccola, in misura non superiore al 10-15% del suo contenuto. Non bisogna togliere più del 3% del totale contenuto nella batteria per non compromettere la qualità e il rendimento negli anni a venire. Questo quantitativo corrisponde circa a 3 litri di Aceto Balsamico Tradizionale che si ottengono ogni anno.

LA TECNICA DEI RINCALZI IN SINTESI

  • Con l’aceto del 2° barile si rincalza il 1° barile (il più piccolo);
  • Con quello del 3° barile si rincalza il 2°;
  • Dal 4° barile si prende l’aceto per rincalzare il 3°;
  • Con l’aceto del 5° barile si rincalza il 4°;
  • Il 5° barile si rincalza con il nuovo mosto.

Le operazioni di travaso e rincalzo sono eseguite una volta all’anno, il mosto fermentato è aggiunto solo alla botte madre.
Dal 3° al 12° anno si prosegue con il sistema dei rincalzi.
Il 13° anno si preleva dalla botticella piú piccola, per la prima volta dall’avviamento della batteria.

All’uscita dall’ultima botticella, l’Aceto balsamico tradizionale deve corrispondere a queste caratteristiche:

  • colore scuro, brunastro e carico
  • densità apprezzabile e sciropposa
  • profumo complesso e penetrante
  • sapore agrodolce, aromatico e strutturato.

Una volta sottoposto al controllo qualità il nostro oro nero può essere infine imbottigliato.

QUALCHE APPROFONDIMENTO

Per permettere la maturazione del prodotto, gli scambi di ossigeno e di sostanze volatili e la continua azione degli acetobatteri, è fondamentale che le botti rimangano aperte. Ognuna presenta infatti un’apertura generalmente rettangolare su due o tre doghe, chiamata “cocchiume”, che facilita l’ispezione e le operazioni di manutenzione, così come l’ossigenazione e l’evaporazione del prodotto. Il cocchiume viene coperto solo da una pezza, lasciando liberi gli acetobatteri di scambiare ossigeno con l’ambiente circostante. Inoltre il legno stesso, grazie alla sua porosità, garantisce scambi con l’ambiente durante tutte le fasi di vita del balsamico tradizionale.

Affinché la maturazione e l’invecchiamento avvengano al meglio, la batteria va inoltre collocata necessariamente in un luogo che risenta delle escursioni termiche fra il giorno e la notte, ma ancor di più fra l’estate e l’inverno: i sottotetti. Qui nella stagione calda, grazie alle alte temperature, si ha la maggior evaporazione e attività batterica (il processo di acetificazione, infatti, richiede una temperatura ambientale superiore ai 20-22°C, al di sotto dei quali gli acetobatteri rimangono in stato di quiescenza), mentre il freddo invernale rallenta l’attività batterica e l’evaporazione e permette alle impurità di sedimentare sul fondo della botte nonché a garantire una decisa attività delle parti odorose. È infatti per questo motivo che, ancor oggi le botti trovano la loro collocazione ideale nei sottotetti delle case.

Ancora discussa resta la questione di come determinare l’età di un aceto Balsamico Tradizionale. Come abbiamo visto, infatti ogni botte della batteria contiene una mistura di aceti di età e caratteristiche differenti. Non è quindi evidente determinare la reale “età” del prodotto, anche in considerazione del fatto che il disciplinare pone come termine minimo un invecchiamento di 12 anni dall’avvio di una batteria ex novo e ovviamente al termine del dodicesimo anno, solo una frazione del prodotto contenuto nella botte più piccola risale all’aceto immesso dodici anni prima, mentre gran parte del contenuto è frutto dei successivi rincalzi e travasi.

IMBOTTIGLIAMENTO

Anche l’imbottigliamento è ben definito dai due disciplinari: ciascuno dei due aceti deve essere venduto in un contenitore ben preciso e solo quello può essere.

L’ABTM certificato viene imbottigliato in speciali bottigliette da 100 ml, di vetro bianco massiccio, sferiche con base rettangolare, disegnate in esclusiva dal designer Giorgetto Giugiaro.
La bottiglietta dell’ABTRE, anch’essa di vetro bianco ed utilizzata esclusivamente per il balsamico tradizionale, ha la forma di un tulipano rovesciato.

L’imbottigliamento, che viene effettuato dal consorzio, può avvenire solamente entro i confini della provincia di Modena (ABTM) o di Reggio Emilia (ABTRE). Ogni bottiglia viene sigillata da un contrassegno numerato apposto sopra il tappo in modo che debba essere rotto per poter aprire la confezione. L’etichetta non può assolutamente riportare aggettivi o qualificazioni relative al prodotto, quali “riserva”, “speciale”, oppure riferimenti all’annata di produzione.

LA STORIA DELL’ACETO BALSAMICO TRADIZIONALE

Le origini dell’aceto balsamico tradizionale sono avvolte nel mistero.

Le radici di questo nettare sono da ricercare nella consuetudine di cuocere il mosto. Una pittura funeraria rinvenuta in Egitto testimonia come questa pratica risalga a tempi molto lontani, intorno al 1000 a.C. e forse anche più.

Tra i Romani la produzione di mosto cotto era un’attività comunemente praticata, per la quale esisteva persino un verbo specifico: defrutare. Il poeta Virgilio (70 a.C. – 19 a.C.) nel primo libro Le Georgiche descrive una scena ambientata in una casa di contadini della sua Mantova: «è autunno…; la donna siede al telaio, tesse e canta» oppure – scrive il poeta – «cuoce il mosto, il dolce succo, sul fuoco, togliendo attentamente con una frasca la schiuma dal liquido ribollente sul paiolo». È interessante scoprire come queste consuetudini e queste tradizioni siano giunte fino a noi praticamente immutate. Il mosto veniva cotto e portato a diversi gradi di concentrazione: con una lunga cottura, che portava a una riduzione del volume fino al 70%, quindi a una concentrazione zuccherina che conservava il prodotto inalterato per lungo tempo, si otteneva la sapa.
Questo prodotto altro non era che la saba4 , come ancora oggi si chiama lo sciropposo mosto cotto che viene utilizzato per preparare i dolci di Natale e che in passato veniva usato dai più poveri come dolcificante al posto del miele, più costoso e meno reperibile.

Durante lo scorrere dei secoli vi sono varie testimonianze che riferiscono di un aceto straordinariamente buono, ambìto da personalità eccellenti, degno di essere inviato in dono a re e imperatori.

Per il primo documento relativo alla presenza dell’Aceto balsamico bisogna aspettare il II secolo d.C. Il prezioso condimento compare infatti per la prima volta all’interno nella Vita Mathildis, composta dal monaco Donizone a Canossa fra il 1112 e il 1115, che racconta le vicende della Contessa Matilde di Canossa5 .

Vi si narra della discesa, nel 1046, di Enrico III di Franconia6 , in viaggio verso Roma per essere incoronato Imperatore. Giunto a Piacenza, il sovrano inviò doni al suo avversario politico Bonifacio III di Canossa, padre della neonata Matilde, richiedendo in cambio quello speciale “aceto tanto lodato [… che…] aveva udito farsi colà perfettissimo“.

Sebbene la parola “balsamico” non venga menzionata, l’importanza del prodotto è confermata dal fatto che Bonifacio gliene fece dono dentro una botticella d’argento, e che Alberto, il visconte di Mantova, per rispondere in modo adeguato abbia inviato all’Imperatore numerosi cavalli e uccelli rapaci.

Per scoprire quali altre influenze ha avuto la famiglia Este nella cultura e nella gastronomia italiana leggi anche l’articolo sul Savurett e l’articolo sul Pasticcio Ferrarese.

Per tutto il Rinascimento l’aceto balsamico compare spessissimo nelle tavole di re e duchi, in particolare alla mensa dei duchi d’Este7 .

Verso la fine del XVI secolo, la Corte Ducale Estense si trasferisce dalla città di Ferrara a Modena; in questo periodo comincia a comparire una ricca e dettagliata documentazione sull’Aceto Balsamico. Il termine “balsamico” accanto alla parola aceto appare per la prima volta nel 1747 nei registri delle cantine segrete della Corte Estense.

Dal XVIII secolo in poi le notizie sull’aceto balsamico aumentano, anche se intorno a questo prodotto permane il riserbo delle famiglie che lo possiedono.

Nell’Ottocento comincia a essere apprezzato e conosciuto anche a livello internazionale: è infatti protagonista nelle più importanti manifestazioni espositive dell’epoca, da Firenze a Bruxelles.
È a questo periodo che risalgono testimonianze fondamentali riguardo all’utilizzo del solo mosto cotto e che avviene la definitiva consacrazione dell’Aceto Balsamico. Tali indicazioni portano i nomi del Conte Giorgio Gallesio e dell’Avvocato Francesco Aggazzotti che per primi hanno determinato le differenze che esistono fra il Balsamico e altri tipi di aceto e hanno indicato la via da seguire per trasformare correttamente il mosto cotto nel prodotto finito.

Giorgio Gallesio, personalità eclettica in vari campi della vita pubblica e degli studi, con spiccato interesse nel settore dell’agricoltura, si esprime così nel suo manoscritto: “L’aceto di Modena è di due sorte, cioè aceto di mosto e aceto di vino, né pare deciso quale sia il migliore. La sola differenza che passa fra l’aceto di mosto e quello di vino sta nel primo elemento dell’operazione. Abbiamo visto che quello di mosto comincia con del mosto cotto, quello di vino con del vino, cioè con del mosto fermentato senza però essere sottoposto al fuoco“.

L’Avvocato Francesco Aggazzotti è stato il primo a indicare in modo puntuale il procedimento da seguire per ottenere il Balsamico con l’utilizzo del solo mosto cotto. Rivestono particolare importanza due sue lettere scritte tra il 1860 e il 1862 all’amico Pio Fabriani in cui descrive i segreti della propria acetaia di famiglia.

Nel 1863 venne affrontato il primo studio scientifico, grazie alle analisi condotte con le moderne tecniche dell’epoca dal chimico Fausto Sestini, che evidenziò le notevoli differenze fra tale aceto rispetto a qualunque altro tipo.

Sempre nel XIX secolo si affermano le prime dinastie dei produttori, alcuni dei quali, ancora oggi, figurano tra gli associati del Consorzio di Tutela. È in questa fase che vengono codificati i processi produttivi.

Fino all’invasione napoleonica (1796) nessuno aveva mai pensato e osato commercializzare o vendere il Balsamico: era impensabile monetizzare un prodotto che solo il Duca e pochi altri privilegiati possedevano. Alle vicende legate al Balsamico nell’era napoleonica seguono le dispute commerciali che contrapponevano ad esso gli altri aceti prodotti ‘alla modenese’ e che ci portano fino ai giorni nostri, dove si trovano in vendita i due distinti aceti: l’Aceto Balsamico di Modena IGP e l’Aceto Balsamico Tradizionale DOP.

CONTROLLO QUALITÀ E CERTIFICAZIONI

Dopo anni di liti e contenziosi legali tra i produttori, il 5 aprile 1983 un decreto ministeriale riconobbe la denominazione “Aceto Balsamico Tradizionale di Modena”.
Il contenzioso nasceva dall’esigenza di distinguere il prodotto tradizionale da quello industriale, che, avendo la medesima denominazione, generavano confusione nei consumatori. Con tale decreto il balsamico tradizionale venne classificato come “condimento alimentare”, mentre l’aceto balsamico di Modena rimase nella categoria degli aceti in senso stretto. Tale definizione comprendeva tutti i balsamici tradizionali prodotti nelle due provincie di Modena e Reggio Emilia.

Il 17 aprile 2000 il Consiglio europeo, con l’adozione del Regolamento (CE) n. 813/2000, riconobbe due differenti “Denominazioni di Origine Protetta – DOP”8 agli aceti balsamici tradizionali prodotti nelle due provincie di Modena e Reggio, definendone i vari aspetti e i due disciplinari di produzione.

Qui puoi scaricare i due disciplinari completi:

E come viene quindi garantito il rispetto dei disciplinari? A pensarci c’è l’ente certificatore, ovvero un gruppo di tecnici e assaggiatori esperti che sottopongono il prodotto a un esame, analitico e organolettico. Solo dopo il rilascio di un responso positivo può essere effettuato il travaso nelle apposite ampolline e il prodotto può ottenere la denominazione DOP.

Se vedete questo simbolo quindi avete la certezza che si tratta di un Aceto Balsamico Tradizionale ottenuto con il processo produttivo che avete appena letto.

L’ente certificatore è autonomo ed è nominato direttamente dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (MIPAAF).

Ha il compito di verificare il rispetto del Disciplinare di Produzione durante tutto l’iter produttivo, nonché la validità delle proprietà organolettiche dell’aceto balsamico tradizionale prima che venga messo sul mercato. Ogni singola partita destinata all’imbottigliamento (che viene svolto unicamente nei centri autorizzati e certificati) deve soddisfare il rispetto del disciplinare di produzione.

Questi professionisti, compilando un’ apposita scheda d’assaggio, attribuiscono ad ogni aceto un punteggio, secondo scale di valutazione differenti per i due disciplinari, in base alle caratteristiche visive, olfattive e gustative un punteggio.
Per l’immissione in commercio infatti, oltre all’età minima di dodici anni, il prodotto deve rispondere ad alcuni parametri precisi, fissati dall’art. 6 del disciplinare di produzione quanto a colore, sapore, profumo, densità ed acidità.

Come abbiamo già detto, si distinguono due tipi di prodotto:

  • Aceto Balsamico Tradizionale: maturato per almeno 12 anni dal momento di avvio della batteria. Si identifica con capsule di colore amaranto, avorio o giallo paglierino per l’ABTM, con solo valore estetico; mentre l’ABTRE differenzia il prodotto in due categorie, bollino aragosta per prodotto con valutazione 240-269 punti e bollino argento per 270-299 punti.
  • Aceto Balsamico Tradizionale Extra vecchio: maturato ed invecchiato per almeno 25 anni dall’avvio della batteria. È  identificato da capsule color oro per l’ABTM con valutazione minima di 254 punti, ed un bollino dorato per l’ABTRE di almeno 300 punti.

Ma quali sono le differenza tra il balsamico tradizionale modenese e reggiano?

Le differenze stabilite dai disciplinari di produzione sono decisamente minime, e riguardano soprattutto l’aspetto dell’imbottigliamento e della presentazione al cliente. In effetti la genesi storica delle due differenti denominazioni origina più da esigenze di promozione del nome del territorio provinciale che non da significative differenze produttive o organolettiche. Il fatto stesso che lo sviluppo del balsamico industriale aveva già imposto sul mercato interno ed internazionale il suffisso “di Modena”, ha indotto i produttori reggiani a ricercare una propria collocazione autonoma sul mercato, nel momento in cui iniziò il percorso per il riconoscimento della DOP.

I più curiosi possono trovare qui una tabella riepilogativa che evidenzia i principali punti in cui si distinguono i due disciplinari.

ACETO BALSAMICO TRADIZIONALE IN CUCINA

Il vero aceto balsamico tradizionale […] di colore bruno scuro, carico e lucente, manifesta la propria densità in una corretta, scorrevole sciropposità.
Ha profumo caratteristico e complesso, penetrante, di evidente, ma gradevole ed armonica acidità.
Di tradizionale ed inimitabile sapore dolce e agro ben equilibrato, si offre generosamente pieno, sapido con sfumature vellutate in accordo con i caratteri olfattivi che gli sono propri.

(Tratto dalla definizione di “Aceto Balsamico Tradizionale” depositata dai Maestri Assaggiatori della Consorteria di Spilamberto nel 1976 presso la Camera di Commercio di Modena)

L’aceto balsamico prelevato dalle botti al termine del periodo di invecchiamento ha un aspetto ed un aroma intenso inconfondibili. Il sapore è necessariamente acido e dolce al contempo, e può variare a seconda del procedimento utilizzato, dei legni, della collocazione dell’acetaia, e di tutti quei fattori che concorrono alla formazione del prodotto. Il colore è simile a quello della liquirizia e la consistenza è sciropposa. Poche gocce, che i produttori consigliano di versare a cottura terminata, sono sufficienti al condimento di qualsiasi pietanza.

L’uso più tradizionale è quello di condimento, ad esempio per insalate, carne, pesce, formaggi (uno degli abbinamenti più gettonati in assoluto è proprio quello con il Parmigiano Reggiano) e dolci di ogni tipo.

Il prodotto di almeno 12 anni, in ragione della sensazione di maggior acidità, viene generalmente apprezzato su carni e piatti più grassi. Lo si può aggiungere a fine cottura, sia come ingrediente per la preparazione di fondi di cottura per la selvaggina e animali da cortile.
L’extra vecchio presenta un sapore più maturo ed equilibrato che meglio si abbina a verdure e piatti “magri”, ma anche a formaggi saporiti e piccanti. In tempi recenti si è diffuso il suo utilizzo anche su dolci e frutta (in particolare su fragole, pesche e frutti tropicali).

È sconsigliato cuocere a lungo l’aceto, che al contrario deve rimanere sul fuoco solo per pochi istanti al fine di non disperdere la complessità di aromi e caratteristiche.

PRODOTTI SIMILI ALL’ACETO BALSAMICO DOP

In commercio si trovano molti prodotti, condimenti e aceti che si qualificano come “balsamici”, o che usano in modo più o meno proprio tale termine.
Escludendo l’Aceto Balsamico di Modena IGP, si tratta spesso di salse e condimenti con caratteristiche produttive ed organolettiche difficilmente confrontabili con il prodotto DOP. In tale categoria infatti possono essere racchiusi tanto dei sottoprodotti o rielaborazioni a basi di aceto di vino, di riso, di mele o altro con l’aggiunta di dolcificanti, quanto dei veri e propri aceti balsamici tradizionali che però non sono stati sottoposti a tutta la complessa (ed onerosa) procedura di certificazione per poter utilizzare il marchio DOP. In quest’ultimo caso si tratta di produzioni raggiungibili solo localmente, e solo dopo attenta conoscenza e valutazione del singolo produttore.

Altre volte ancora, soprattutto fuori dai confini italiani, si tratta di vere e proprie imitazioni che, violando le normative europee ed internazionali sul commercio, sfruttano il nome di un prodotto pur non avendone le caratteristiche produttive e chimico-fisiche.
Piccola curiosità! Pensate che a Modena, presso la sede dei Consorzi di tutela dell’ABTM e ABM, è stata aperta addirittura una sala dedicata ad una sempre crescente collezione di imitazioni provenienti da svariati paesi europei e non solo.

Su due di questi prodotti tengo però a soffermarmi: l’Aceto Balsamico di Modena IGP e il Condimento bianco all’Aceto Balsamico.

ACETO BALSAMICO DI MODENA IGP

Si tende spesso a dire che l’Aceto Balsamico di Modena IGP è un aceto di qualità inferiore rispetto a quello tradizionale ma non è corretto. Benché quest’ultimo sia un prodotto indiscutibilmente unico nel suo genere, possiamo dire, più giustamente, che l’Aceto Balsamico IGP è “meno puro” se paragonato al DOP. Sicuramente bisogna avere ben chiaro che parliamo di un prodotto molto diverso, cosa che spiega anche perché è molto più diffuso e molto più economico.

Origine

Come il Tradizionale è prodotto anch’esso nei territori della provincia di Modena e di Reggio Emilia. Dalle materie prime e dal processo produttivo si rimarcano però subito le prime differenze.
I mosti d’uva (dai vitigni di Lambruschi, Sangiovese, Trebbiani, Albana, Ancellotta, Fortana, Montuni) vengono parzialmente fermentati e/o cotti e/o concentrati.

Al mosto d’uva cotto concentrato (la cui quantità non può essere inferiore al 20%) viene miscelato aceto di vino, nella misura minima del 10%, e una aliquota di aceto vecchio di almeno 10 anni.

È possibile aggiungere caramello per la stabilizzazione colorimetrica, fino a un massimo del 2% del volume del prodotto finito. È vietata l’aggiunta di qualsiasi altra sostanza. L’aggiunta dell’aceto e del caramello inacidiscono il prodotto e lo impoveriscono dal punto di vista del profumo e del sapore. Minore è il loro utilizzo e maggiore sarà la qualità dell’Aceto Balsamico di Modena IGP.

Acetificazione e affinamento

L’elaborazione dell’Aceto Balsamico di Modena avviene con il classico metodo di acetificazione mediante l’impiego di colonie batteriche selezionate oppure lenta in superficie o lenta “a truciolo”, cioè con l’impiego di un tino di legno munito di una grata nella parte inferiore e riempito di materiale poroso sul quale sono distribuiti gli acetobatteri.

La fase successiva è quella dell’affinamento: sia quest’ultima che la prima, si svolgono all’interno di barili, botti o tini di legni pregiati, quali rovere, castagno, quercia, gelso e ginepro. Il periodo minimo di affinamento è di 60 giorni, conteggiati a partire dal momento in cui le materie prime, miscelate tra loro nella giusta proporzione, sono avviate all’elaborazione. Una volta trascorsi 60 giorni di affinamento, l’Aceto Balsamico di Modena può essere sottoposto a un ulteriore periodo di invecchiamento. Se questa fase si dilunga per più di tre anni, il prodotto finito potrà fregiarsi della classificazione “invecchiato” (tempi decisamente contenuti rispetto a quelli dell’Aceto Balsamico Tradizionale! 😉).

Al termine dell’affinamento, come nel caso del DOP il prodotto ottenuto viene sottoposto a un esame, analitico e organolettico, affidato a un gruppo di tecnici e assaggiatori esperti. Il disciplinare richiede, prima di tutto, un aceto limpido e dal colore bruno e intenso. L’odore dev’essere gradevolmente acetico, il sapore, invece, agrodolce ed equilibrato e l’acidità totale minima del 6 per cento (più acido quindi del tradizionale, vedi tabella).

L’Aceto Balsamico di Modena così ottenuto può essere immesso al consumo diretto. Viene inserito in contenitori in vetro, legno, ceramica o terracotta, di varie capacità.

Essendo un prodotto ad Indicazione Geografica Protetta9, il disciplinare di produzione dell’Aceto Balsamico di Modena prevede che l’assemblaggio delle materie prime, l’elaborazione, l’affinamento e/o l’invecchiamento in recipienti di legno pregiato abbiano luogo obbligatoriamente nelle province di Modena e Reggio Emilia. Il prodotto finito può invece essere confezionato anche al di fuori della zona geografica di origine.
Pur non essendo ottenuto esclusivamente da mosto cotto d’uva, l’Aceto Balsamico di Modena IGP rimane un prodotto di qualità, capace di regalare ai piatti e alle ricette quella piacevole fragranza che soltanto i grandi condimenti sanno offrire.

CONDIMENTO AGRODOLCE BIANCO

In Francia, quando lavoravo come commessa in una grande epicerie mi chiedevano spesso se avessimo “l’aceto balsamico bianco”, mai sentito nominare prima. Dopo varie ricerche e domande ai produttori ho appurato che… non esiste.
Esiste però un prodotto chiamato Condimento bianco (ma lo si trova anche con la denominazione di “Condimento agrodolce bianco” o “Condimento bianco all’aceto balsamico”) e si tratta di un condimento composto da aceto di vino da uve bianche e mosto cotto da uve bianche, che vengono affinati in barrique. Il riposo in botti gli permette di avere un colore giallo paglierino e un sapore agrodolce fruttato.

Ed eccoci qui giunti alla fine del nostro viaggio virtuale tra botti e tradizioni.

Prima di salutarci vorrei ringraziare l’Acetaia Malpighi di Modena, in attività dal 1850, che mi ha gentilmente fornito molte delle foto presenti in questo articolo. Non perdete l’occasione di visitare il loro sito e di segnarvi il loro indirizzo, tappa obbligata del Food Tour tra le antiche botti di aceto!

PREPARATEVI AL VIAGGIO

Siete pronti per partire per il tour gastronomico? Scriveteci a info@ilvasodipandoro.com.

Per prepararvi al viaggio ecco qualche guida e lettura da non perdere:

FATE(VI) UN REGALO

L’Aceto balsamico tradizionale si presta perfettamente come regalo pregiato e goloso per una grande occasione.

Ecco allora due cofanetti che fanno al caso vostro:

Leggi subito l’articolo successivo di Foodipedia sulla tradizionale Piadina Romagnola.

1 La diraspatura è l’operazione che separa gli acini dell’uva dai raspi (i grappoli dell’uva privati dei chicchi).
2 Il mosto indica infatti il prodotto liquido che si ricava dall’uva fresca pigiata, solitamente anche diraspata.
3 La fermentazione alcolica è una forma di metabolismo energetico che avviene in alcuni lieviti in assenza di ossigeno. Ha come risultato la trasformazione degli zuccheri in alcol etilico e anidride carbonica. Questo processo è alla base della produzione delle principali bevande alcoliche (vino, birra) e anche della lievitazione del pane.

4 La saba o sapa è un condimento ancora utilizzato, tipico delle regioni Emilia Romagna, Marche, Puglia e Sardegna. È uno sciroppo d’uva che si ottiene dal mosto appena pronto, di uva bianca o rossa. La saba è detta infatti anche “mosto cotto” o “vino cotto”.
5 Matilde di Canossa (n. 1046-m. 1115) fu contessa, duchessa, marchesa e vicaria imperiale e vice regina d’Italia. Matilde fu una potente feudataria ed ardente sostenitrice del papato nella lotta per le investiture: Personaggio di assoluto primo piano in un’epoca in cui le donne erano considerate di rango inferiore, arrivò a dominare tutti i territori italici a nord dello Stato Pontificio.

6 Enrico III di Franconia  (1017-1056), detto il Nero,  fu incoronato re di Germania nel 1028 e dal 1046 divenne imperatore del Sacro Romano Impero.
7 In origine marchesi di Este, gli Estensi furono poi, dal sec. 13°, signori e duchi di Ferrara, Modena, Reggio, Parma.

8 La Denominazione di Origine Protetta (DOP), è un marchio di tutela giuridica della denominazione. Viene attribuito dall’Unione europea agli alimenti le cui peculiari caratteristiche qualitative dipendono essenzialmente o esclusivamente dal territorio in cui sono stati prodotti. Affinché un prodotto sia DOP, le fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione devono avvenire in un’area geografica delimitata. Chi fa prodotti DOP deve attenersi alle rigide regole produttive stabilite nel disciplinare di produzione.

9 Il termine Indicazione Geografica Protetta (IGP) indica un marchio di origine dell’Unione Europea. Viene attribuito a quei prodotti agricoli e alimentari per i quali una determinata qualità, la reputazione o un’altra caratteristica dipende dall’origine geografica, e la cui produzione, trasformazione e/o elaborazione avviene in un’area geografica determinata. Per ottenere la IGP quindi, almeno una fase del processo produttivo deve avvenire in una particolare area. Si differenzia dalla più prestigiosa denominazione di origine protetta (DOP), quindi, per il suo essere generalmente un’etichetta maggiormente permissiva.

<a href="https://ilvasodipandoro.com/author/giu-milani92gmail-com/" target="_self">Giulia Milani</a>

Giulia Milani

Founder

Classe 1992, sono la fondatrice del blog. Vengo da Milano (Corsico, per i più pignoli) e mi sono laureata in Scienze Gastronomiche a Parma. Dopo un Master in Cultura del cibo e del vino a Venezia, ho lavorato a Verona e a Parigi, dove è nato Il vaso di Pandoro. Ora sono rientrata a Milano e lavoro in un’agenzia di comunicazione. Più brava a mangiare che a cucinare, amo raccontare la gastronomia attraverso le storie e le tradizioni. Per me viaggiare coniugando le bellezze del territorio con quelle della tavola è il modo migliore per conoscere una cultura.
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