Può essere amara, dolce, acida, affumicata, tostata, fruttata, corposa, leggera, bionda, ambrata, scura; stiamo parlando di una tra le bevande più versatili, antiche e consumate al mondo: la birra. 🍺

Ma com’è possibile ottenere quest’ampia varietà di prodotti differenti e chiamarli tutti con lo stesso nome? Cerchiamo di scoprirlo insieme. Prima però è necessario rispondere ad alcune domande: Cos’è la birra? Quando nasce? Come si fa la birra?

DEFINIZIONE DI BIRRA

Per capire cosa intendiamo quando parliamo di birra risulta utile appoggiarsi alle definizioni legali, in questo caso alla legge 1354 del 1962: “La denominazione “birra” è riservata al prodotto ottenuto dalla fermentazione alcolica con ceppi di Saccharomyces carlsbergensis o di Saccharomyces cerevisiae di un mosto preparato con malto, anche torrefatto, di orzo o di frumento o di loro miscele ed acqua, amaricato con luppolo o suoi derivati o con entrambi.”

Trattasi quindi di una bevanda alcolica prodotta con specifici ingredienti. La definizione anticipa già in parte il metodo di produzione, ma facciamo prima un passo indietro nel tempo per scoprire da dove arriva, se ci è dato saperlo, questa celebre bevanda.

LA STORIA DELLA BIRRA: LA SCOPERTA DELL’ALCOL

Quando si cerca di ricostruire la storia delle bevande alcoliche, percorrendo a ritroso il sentiero tracciato da fonti scritte, prove archeologiche o tradizioni orali, ad un certo punto il percorso si fa nebuloso e incerto, fino a perdersi completamente nei meandri della storia.

La fermentazione alcolica1, in natura, può avvenire spontaneamente in alimenti che contengono zuccheri come frutta, miele o latte. 
Provate ora ad immaginare: un cacciatore-raccoglitore della preistoria trova dei frutti caduti da una pianta magari qualche giorno prima, umidi e un po’ ammaccati, in cui è partita la fermentazione, li mangia e subito dopo prova una piacevole sensazione di euforia. Senza ben comprenderne il meccanismo, cerca di riprodurne l’effetto, magari sperimentando ingredienti diversi, affinando la tecnica e sviluppando nuovi strumenti, fino ad ottenere l’enorme assortimento di bevande alcoliche che tutti oggi conosciamo.

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BIRRA: SCOPERTA O INVENZIONE?

Per la birra le cose si fanno un po’ più complicate. L’amido contenuto nei cereali, infatti, non può essere fermentato a meno che non venga reso “disponibile” per i microrganismi. Si tratta infatti di un carboidrato, cioè di uno zucchero complesso che, per essere attaccato dai lieviti, deve essere scisso negli zuccheri semplici che lo compongono.

Per produrre la birra si utilizzano quindi cereali maltati, che approfondiremo nel paragrafo dedicato, i quali hanno subìto un processo di germinazione in cui vengono prodotti zuccheri fermentescibili.

In realtà, anche gli enzimi contenuti nella saliva sono in grado di espletare un’azione di questo tipo sull’amido, ragion per cui sono state avanzate ipotesi sulla possibilità che venissero inizialmente usati cereali precedentemente masticati. È molto probabile però che si sia iniziato a produrre birra dopo lo sviluppo del processo di maltazione, che tra l’altro rende i cereali più palatabili, digeribili e conservabili, o comunque dopo la nascita dell’agricoltura (circa 10 mila anni fa).

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LA BIRRA IN MEDIO ORIENTE

Come avrete intuito risulta veramente arduo, se non impossibile, datare con precisione quando è nata la birra e dove è nata la birra. Tra le prime civiltà che ci hanno lasciato traccia del consumo e della produzione di birra ci sono gli egizi e i babilonesi.

In queste popolazioni, la birra non aveva solo la funzione di “collante sociale” che ha oggi, ma veniva utilizzata nelle funzioni religiose e talvolta utilizzata come remunerazione per i lavoratori. In queste regioni, infatti, gli archeologi hanno ritrovato i resti di veri e propri birrifici risalenti a oltre 5 mila anni fa. Persino in poemi babilonesi quali l’Ode a Ninkasi e la Saga di Gilgameš si fa menzione alla birra e alla sua produzione.

LA BIRRA IN CINA

Così come in Medio Oriente, anche in Cina pare si producesse e consumasse birra già 5000 anni fa.
È proprio qui infatti che nel 2016 dei ricercatori hanno ritrovato degli strumenti risalenti a circa 3000 anni prima di Cristo contenenti tracce chimiche relative ad una bevanda ottenuta da cereali fermentati, tra cui l’orzo.

LA BIRRA NEL NORD EUROPA

Anche nel nord Europa la tradizione del consumo di birra non è un fatto recente, ma era diffusa già nell’antichità.

Scrive Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia a proposito dei celti: “Dal grano ottengono una bevanda, chiamata Zythos in Egitto, Caelia e Cerea in Spagna, Cervesia in Gallia e in altre regioni” e poi “producevano un liquido con il quale si intossicavano, ottenuto da cereali ed acqua”. Anche le antiche popolazioni germaniche pare bevessero birra in gran quantità; scrive Tacito a proposito: “Preparano una bevanda con orzo o frumento che, se fermentata, assomiglia a vino”.

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La birra rivestiva un ruolo fondamentale tra le popolazioni appartenenti alla Lega Anseatica, un’alleanza sorta intorno al XII secolo, con scopi prevalentemente commerciali, che comprendeva le maggiori città che si affacciavano sul Mare del Nord e sul Mar Baltico. Qui, non era soltanto uno dei principali prodotti commercializzati, ma costituiva anche un nutrimento durante i viaggi in mare, fatto per il quale oggi la associamo ai vichinghi.

Accanto alla più tradizionale produzione di liquori di malto, anche in Gran Bretagna iniziò a diffondersi la cultura della birra, che con il tempo iniziarono a chiamare con il termine “Ale”. Qui, successivamente, iniziarono a diffondersi le celebri “Church Ale” o “Parish Ale”: dei festival parrocchiali dove si beveva tradizionalmente birra (Ale) e il cui ricavato della vendita era utilizzato per la manutenzione e il sostegno dei centri religiosi.

In Germania, la tradizione birraia inizia a prendere forma e consistenza nel XVI secolo, durante il quale viene emanato in Baviera il cosiddetto “Decreto purezza” o, in tedesco, “Reinheitsgebot”. Questa norma regolamentava la produzione e la vendita di birra, compresi gli ingredienti: luppolo, malto d’orzo e acqua, senza l’utilizzo di erbe aromatiche o frutti che fino ad allora distinguevano le diverse ricette.

LA BIRRA NEL MONDO CRISTIANO

Durante il Medioevo, i monasteri erano i luoghi in cui si conservava e tramandava il sapere. Questo era inteso in tutte le sue declinazioni, dalla teologia alle scienze, tra cui anche la birra. È grazie ai monaci che si ebbe in questo preciso momento storico un importante avanzamento sia dal punto di vista produttivo che ingredientistico.

Nelle società antiche la birra era molto diversa da quella che tutti oggi conosciamo; si trattava infatti di una bevanda ottenuta da cereali fermentati spesso mescolati ad altri ingredienti come frutti, miele o erbe aromatiche. La prima prova dell’utilizzo di luppolo in Europa per aromatizzare la birra la ritroviamo nel testo “Consuetudines Corbeienses” dell’abate Adalhard di Corbie (IX secolo d.C.).

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LA SCIENZA DELLA BIRRA

E’ soltanto durante il XVIII secolo, grazie agli studi ottici, biochimici e microbiologici, che si fece luce sui principi scientifici alla base della birrificazione.
La scoperta del meccanismo della fermentazione alcolica, gli studi sui cereali e sui malti, lo sviluppo di nuovi strumenti e gli studi sui lieviti posero le basi per un approccio “scientifico” nella produzione di birra, basato sulla standardizzazione del processo e sui dati.

GLI INGREDIENTI DELLA BIRRA

La birra, come il vino, è una bevanda che si ottiene dalla fermentazione di un mosto2.
In questo caso però, come indicato nella sopracitata legge 1354 del ‘62, il mosto è composto da: acqua, cereali e luppolo.

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L’ACQUA

L’acqua è l’ingrediente maggioritario in termini di peso e gioca un ruolo molto più importante che la semplice diluizione degli altri ingredienti.

L’acqua ad uso alimentare contiene naturalmente sali minerali, i quali ne determinano il gusto e possono influire su quello del mosto. Sempre i sali determinano il pH3 dell’acqua e andranno a determinare quello del mosto, dove sarà essenziale nel regolare l’attività degli enzimi e quella dei microrganismi.

I CEREALI

Il cereale da birra per antonomasia è sicuramente l’orzo. Il suo elevato contenuto amidaceo e l’elevata presenza, dopo la germinazione, di enzimi idrolitici, lo rendono uno dei cereali più idonei in birrificazione.
Pur prestandosi molto a questo tipo di lavorazione, l’orzo non possiede l’esclusiva come cereale da birra. Le normative dei diversi paesi prevedono l’utilizzo di % diverse di altri cereali, quali frumento, mais, anche non maltati (in Italia in misura massima del 40%) in modo da conferirgli sfumature aromatiche e gustative particolari.

IL MALTO D’ORZO

Abbiamo già accennato in precedenza che per produrre la birra non si usa l’orzo così com’è ma il malto d’orzo.

Cosa differenzia il malto d’orzo dall’orzo? In breve, la maltazione consiste nell’indurre il cereale a germinare mettendolo a contatto con l’acqua, per poi successivamente essiccarlo. La germinazione del chicco stimola lo sviluppo degli enzimi che permetteranno poi di trasformare l’amido in zuccheri solubili in acqua e fermentescibili.
Tramite questo processo si ottengono chicchi croccanti, più friabili e facilmente lavorabili, con il gradevole sapore caratteristico del malto. Le diverse modalità con cui viene effettuata la maltazione danno origine a vari tipi di malto di diverso colore, in grado di conferire un carattere particolare al prodotto finito.

IL LUPPOLO

Il luppolo, nome scientifico Humulus lupulus, è una pianta rampicante appartenente alla famiglia delle Cannabacee. E’ il principale responsabile dell’aroma tipico della birra e del suo gusto amaro. Non solo: ha anche la funzione di conservante.

Le sostanze di interesse per la produzione di birra si trovano nei fiori femminili, i quali contengono circa il 15-20% di resine, composte da alcune molecole antimicrobiche, altre utili nella stabilizzazione della schiuma, e altre ancora responsabili del tipico gusto amaro (α e β acidi). La frazione aromatica è invece dovuta agli oli essenziali che rappresentano circa lo 0,5-3% in peso del luppolo.

Il luppolo può essere utilizzato nella birrificazione sotto forma di coni (fiori essiccati), plugs (coni pressati) o pellets (pastiglie).

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LUPPOLO ITALIANO

Data l’ubiquitarietà di questa pianta e lo sviluppo, degli ultimi anni, del settore brassicolo in Italia, nel 2011 è nato un progetto di ricerca sul luppolo selvatico italiano grazie alla collaborazione tra il comune di Marano sul Panaro e l’Università di Parma.
Da questo progetto è sorta Italian Hops Company: azienda agricola sita nella provincia modenese che nel 2017 è riuscita a registrare tre varietà di luppolo italiano: Mòdna, Æmilia e Futura.

IL LIEVITO

I lieviti sono microrganismi che appartengono al regno dei funghi e rappresentano la “fabbrica biologica” che permette di trasformare gli zuccheri contenuti nel mosto in alcol etilico. Il tipo di lievito utilizzato andrà inoltre a caratterizzare la birra ottenuta.

Nelle birre ad alta fermentazione, o Ale, si utilizzano quasi esclusivamente ceppi di Saccharomyces cerevisiae, mentre in quelle a bassa fermentazione, o Lager, si utilizzano ceppi di Saccharomyces carlsbergensis (o più propriamente S. Pastorianus).
Esistono inoltre birre a fermentazione spontanea dove non vengono aggiunti ceppi di lieviti specifici, ma si cerca di sfruttare i microrganismi già presenti nel mosto.

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LA PRODUZIONE DELLA BIRRA

La produzione della birra consiste nel miscelare gli ingredienti e lasciar agire i microrganismi.

Uno dei compiti del mastro birraio è quindi quello di creare le migliori condizioni possibili affinché lieviti e batteri trasformino l’iniziale “brodaglia” di ingredienti nel prodotto dalle caratteristiche desiderate.

L’AMMOSTAMENTO

La prima fase della produzione della birra è l’ammostamento, ovvero la creazione del mosto.
Il mosto non è altro che una soluzione acquosa ricca di sostanze nutritive, ottenuta miscelando acqua calda e cereali macinati (maltati e non). Avviene  all’interno di grandi recipienti noti come vasche di ammostamento.

Come accennato in precedenza, il malto contiene un insieme di enzimi che svolgono un ruolo importantissimo in questa fase: la degradazione dell’amido, delle proteine e di altri composti presenti nei cereali, rendendoli maggiormente idrosolubili e biodisponibili. È di cruciale importanza quindi la conoscenza di come cambia l’attività di questi enzimi in funzione della temperatura e del pH del mosto.

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Le tecniche di ammostamento sono principalmente due:
  • per infusione, dove gli ingredienti sono miscelati con acqua calda in maniera tale da ottenere una miscela alla temperatura ottimale.
  • per decozione: dove si preleva una parte di miscela già preparata e la si fa bollire per poi rimescolarla con il resto del mosto per portarlo a temperatura.

Al termine del processo, i frammenti di cereali esausti (trebbie) vengono separati dal mosto, il quale è pronto per essere trasferito in caldaia e cotto.

LA COTTURA DEL MOSTO

Scopo principale della cottura è la concentrazione del mosto: ad una maggiore concentrazione di zuccheri corrisponde un maggior grado alcolico, quindi una resa maggiore.
Inevitabilmente, il riscaldamento porta con sé tutta una serie di effetti che contribuiranno alla definizione del prodotto finale, come la formazione di molecole dal colore scuro, di note aromatiche tipiche, la riduzione della carica microbica e l’inattivazione degli enzimi del mosto.

È in questa fase che viene aggiunto il luppolo. Viene aggiunto proprio in cottura in quanto l’elevata temperatura ne favorisce l’estrazione e la solubilizzazione dei componenti.

Alla “cotta” (mosto in uscita dalla fase di cottura) non rimane altro che essere fermentata. A tal scopo viene trasferita all’interno di fermentatori, oggigiorno principalmente di forma cilindrica con fondo conico per facilitare il deposito dei sedimenti.

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FERMENTAZIONE DELLA BIRRA

Come accennato in precedenza, in birrificazione la fermentazione può essere distinta in alta, bassa e spontanea:

  • alta fermentazione: chiamata così in quanto i lieviti (S. cerevisiae) tendono ad effettuare una vigorosa fermentazione, complice anche la più elevata temperatura di processo (16-20°C) rispetto alla bassa fermentazione, con elevata produzione di anidride carbonica che porta i lieviti stessi a formare un “cappello” di schiuma nella parte alta del fermentatore. Le birre così prodotte vengono indicate con il termine “ale”.
  • bassa fermentazione: chiamata così perchè i lieviti (S. pastorianus) tendono a depositarsi sul fondo del fermentatore. In questo caso la temperatura di processo è inferiore (9-13°C) e il diverso metabolismo dei lieviti qui implicati porta alla formazione di un bouquet aromatico meno intenso e leggermente più delicato. Le birre ottenute da una fermentazione di questo tipo sono denominate “lager”.
  • fermentazione spontanea: non utilizza lieviti selezionati ma si lascia fermentare spontaneamente il mosto con la microflora che contamina naturalmente l’ambiente di produzione, quali batteri lattici, batteri acetici, enterobatteri e lieviti selvaggi. Una fermentazione di questo tipo può durare anche molti giorni, a differenza delle controparti con lieviti selezionati che si risolve in qualche ora o pochi giorni.
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Da un punto di vista biochimico, le fermentazioni possono invece essere suddivise in due fasi, quella primaria e quella secondaria.

Durante la prima fase, la cosiddetta fermentazione primaria, i protagonisti sono i lieviti. Questa “macchina biologica” trasforma gli zuccheri in alcol e produce una serie di composti che conferiranno alla birra le note aromatiche caratteristiche: esteri (note floreali), alcoli superiori (note fruttate), acido solfidrico e acetaldeide (caratteristici della birra non ancora maturata) e acidi organici.

La fermentazione secondaria è la fase in cui avviene l’affinamento del profilo organolettico del prodotto, con la riduzione dei composti “verdi” e attribuibili alle birre non ancora mature (acido solfidrico, acetaldeide e diacetile). Si ha inoltre la produzione e l’accumulo di anidride carbonica, essenziale per il consumo di una birra gassata.

Per favorirne la stabilità nel tempo la birra può successivamente essere filtrata e pastorizzata, in funzione del grado di torbidità che si vuole ottenere nel prodotto finale e di conseguenza del tipo di birra che si andrà a produrre.

GLI STILI BIRRAI

Sarà capitato a tutti di ritrovarsi davanti al menù di un pub a dover scegliere tra decine di tipi di birre e, non sapendo come orientarsi, si finisce sempre col scegliere le solite.
In commercio si trovano birre prodotte con gli stili più diversi e si riscontrano enormi differenze anche tra birre dello stesso stile.

Come già accennato in precedenza, la prima classificazione è basata sul tipo di fermentazione e sulle condizioni di processo ad essa associate.
Grazie all’utilizzo di differenti microrganismi, così come l’utilizzo di ricette e di metodi di produzione diversi si possono ottenere birre che differiscono in: colore, grado alcolico, aroma, gusto, caratteristiche della schiuma e densità.

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BIRRA LAGER O BIRRA A BASSA FERMENTAZIONE

Tra le birre a bassa fermentazione (lager) troviamo:

  • Bock: stile di origine tedesco, è una birra che nella tradizione monastica medievale veniva consumata durante le principali festività cristiane.
    Si caratterizza per una schiuma molto persistente e cremosa, un grado alcolico compreso tra il 6 e il 7 % e dal colore ambrato dovuto all’utilizzo di malti molto tostati, i quali ne caratterizzano anche il profilo aromatico.
    Presente anche nelle varianti Doppelbock, Eisbock, Maibock, Weizenbock
  • Dunkel lager: un altro stile di birra tedesco, originario di Monaco. Anche qui si parla di birre scure, caratterizzate quindi dall’utilizzo di malti molto tostati, un grado alcolico compreso tra 4.5 e 6% e da una schiuma densa e fine.
  • Märzen: dal tedesco März (Marzo) in quanto tradizionalmente era prodotta in Marzo, è una birra dalla gradazione alcolica che si aggira intorno al 5%, dal colore solitamente ambrato ma che può variare anche a tonalità più chiare, corposa con importanti sentori di luppolo.
  • Pale lager: con questo termine si designano le birre a bassa fermentazione caratterizzate da un colore giallo paglierino. Tra le più rappresentative di questo stile c’è sicuramente la Pilsner, originaria di Plzeň (R. Ceca), una birra paglierina con una gradazione non superiore al 5% e con un marcato sentore di luppolo, dovuto all’utilizzo in generose quantità del pregiato luppolo ceco Saaz. Alla categoria appartengono anche altre tipologie di lager quali Dortmunder, dry lager, helles e spezial.
  • Schwarzbier: altra birra tedesca dalle tonalità scure, tendente al nero con un sapore che ricorda cioccolato e caffè e un grado alcolico che si aggira intorno al 5%.
  • Kellerbier: birra chiara bavarese non filtrata, caratterizzata dall’elevata torbidità, dalla scarsa quantità di anidride carbonica presente e dalla schiuma sottile e leggera.
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BIRRA ALE O BIRRA AD ALTA FERMENTAZIONE

Tra le birre Ales invece si annoverano:

  • Weizen: ormai celebri in tutto il mondo anche tra i non addetti ai lavori, si distinguono per il sapore leggermente dolciastro e acidulo, schiuma cremosa e persistente e colore biondo opaco.
    Le Weizen (o Weiss) sono anche definite birre di frumento, in quanto questo è uno dei cereali utilizzati nel mosto assieme al malto d’orzo.
    Nella categoria troviamo diverse varietà: Berliner weisse, Dunkel Weisse, Hefeweizen, Kristallweizen, Weizenbock, Blanche.
  • Pale Ale: birre corpose di origine anglosassone con un profilo aromatico caratterizzato da note fruttate, floreali e speziate, con utilizzo prevalente di malti chiari, con un colore che varia dall’arancio chiaro all’ambrato. Presente nelle varianti Altbier, American, English Bitter, IPA, Saison, Scotch ale.
  • Belgian Ale: ale belga dal colore d’orato, dall’aroma ricco e intenso pieno di sentori fruttati e speziati, prodotta utilizzando diverse tipologie di cereali quali frumento, segale e avena.
  • Barley wine: di origine anglosassone, dal colore ambrato che può tendere al nero e dalla schiuma molto sottile, chiamata così perchè l’elevato grado alcolico e le caratteristiche organolettiche sono pù vicine a quelle di un vino che alla birra, dovute anche ai lunghi periodi di maturazione, spesso effettuati in botte, a cui viene sottoposta la birra.

BIRRA A FERMENTAZIONE SPONTANEA

Tra quelle a fermentazione spontanea, non possiamo non citare la birra Lambic, birra belga che prevede l’utilizzo di malto d’orzo mescolato a grano e di luppolo invecchiato.
La maturazione gli conferisce note ammuffite, acetiche e lattiche mescolate a sentori di frutta. Il retrogusto acidulo e il sapore secco gli conferisce una impatto in bocca quasi vinoso, molto originale e interessante da provare almeno una volta.
Altre birre a fermentazione spontanea sono la Gueuze, Kriek, Faro.

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COSA SIGNIFICANO LE DICITURE “BIRRA LIGHT”, “BIRRA DOPPIO MALTO” E “BIRRA SPECIALE”

La legge 1354 del ‘62 stabilisce che è possibile denominare “light” una birra se il suo contenuto alcolico è compreso tra 1,2% (al di sotto è considerata analcolica) e 3,5%.

Per descrivere il significato di “doppio malto” e “speciale”, invece, è necessario introdurre il concetto di grado plato.
Il grado plato è un’unità di misura della densità, molto utilizzata in birrificazione per misurare la densità del mosto e predirne il grado alcolico massimo. Da definizione, un mosto con 1° Plato ha una densità uguale a una soluzione acquosa contenente l’1% in peso di zucchero.
Un mosto a 10° Plato ha la densità di una soluzione al 10% in peso di zucchero, e così via…

Sempre secondo la legge 1354 del ‘62 sono definite birre speciali i prodotti con grado plato superiore a 12,5 e birre doppio malto quelle con grado plato superiore a 14,5.

Badate bene che il grado plato è sempre riferito al mosto da cui è stata ottenuta la birra, quindi è semplicemente una denominazione legale riferita alla misura della densità di quest’ultimo e non dà alcuna garanzia su una qualche caratteristica peculiare del prodotto finito o sul grado alcolico, come spesso erroneamente si pensa.

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LE BIRRE ARTIGIANALI E I MICROBIRRIFICI

In opposizione al dominio dei grandi produttori industriali, nell’ultimo decennio abbiamo assistito ad un’improvvisa diffusione di microbirrifici che propongono un’enorme varietà di birre dai gusti sempre più ricercati. 

Ad oggi non esistono definizioni universalmente condivise di “microbirrificio” e di “birra artigianale”, ma è possibile comunque delinearne il profilo andando ad evidenziare quelle che sono le caratteristiche più peculiari.

Con il termine “microbirrificio” si intende, generalmente, un produttore indipendente di piccole dimensioni, con una capacità produttiva limitata e con una distribuzione limitata. La legislazione italiana, nell’articolo 2 della legge 16 agosto 1962, definisce “piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza di utilizzo dei diritti di proprietà immateriale altrui e la cui produzione annua non superi 200.000 ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità di birra prodotte per conto di terzi”.
Si definisce invece birra artigianale “la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione.” Le birre artigianali hanno quindi, mediamente, un prezzo più alto rispetto alle controparti industriali e non subiscono trattamenti di stabilizzazione quali pastorizzazione o microfiltrazione, i quali incidono in maniera importante sul profilo aromatico del prodotto.

COME PRODURRE BIRRA ARTIGIANALE?

Ecco le letture da non perdere:

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LA BIRRA ANALCOLICA: COME SI OTTIENE?

Per chi non può o non vuole consumare alcol senza rinunciare al gusto amarognolo e rinfrescante della birra esiste una soluzione chiamata birra analcolica.

Per ottenerla si utilizzano principalmente due metodi: la rimozione dell’alcol e l’interruzione della fermentazione.
Il primo consiste nel rimuovere l’alcol da un prodotto finito, generalmente tramite evaporazione o particolari tecniche di filtrazione, come l’osmosi inversa.
Il secondo consiste nel fermare la fermentazione una volta che la birra ha raggiunto il tasso alcolico desiderato (ovviamente non superiore all’1.2%).

I due metodi di produzione, oltre che, ovviamente, il tenore alcolico, ci danno un indizio sul perché la birra analcolica risulti molto meno aromatica, e quindi apprezzata, rispetto alle controparti “normali”. La rimozione dell’alcol porta in genere alla rimozione di buona parte della frazione aromatica, con conseguente perdita di appetibilità del prodotto. Per quanto riguarda l’interruzione della fermentazione si ha invece una ridotta produzione di composti aromatici, che tendono a formarsi in gran parte proprio in questa fase. A ciò si aggiunge che è proprio l’alcol a permettere la solubilizzazione e la ritenzione di molti aromi presenti nel prodotto.

Con le nuove frontiere della dealcolizzazione, l’utilizzo di malti di partenza molto più aromatici e l’utilizzo di lieviti selezionati o geneticamente modificati si sta iniziando a produrre birre analcoliche dal profilo organolettico sempre più apprezzato e chissà, magari un giorno si faticherà a distinguerle da quelle alcoliche.

BIRRE A INDICAZIONE GEOGRAFICA

Anche se pochi e non molto conosciuti, nel mondo brassicolo si annoverano prodotti che hanno ottenuto riconoscimenti atti a tutelarne la qualità e le peculiarità.

Tra questi vi sono sia ingredienti che birre e, come possiamo figurarci, la maggior parte di esse è rappresentata da prodotti provenienti dal nord Europa: Germania su tutti.

Ecco alcuni esempi di prodotti brassicoli e birre IGP e STG:

  • Elbe-Saale Hopfen IGP, luppolo tedesco coltivato in alcune zone della Sassonia, Sassonia-Anhalt e Turingia.
  • Münchener Bier IGP, birra di Monaco, di cui esistono molte varietà.
  • Kaimiškas Jovarų alus IGP, birra lituana a fermentazione naturale,
  • Kentish Ale e Kentish Strong Ale IGP, birre inglesi prodotte nella contea del Kent,
  • Lambic STG, stile di origine belga a fermentazione spontanea.
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MIGLIORI LIBRI SULLA BIRRA PER APPROFONDIRE:

Il mondo della birra, così come quello del vino, è incredibilmente ricco di sfaccettature, dove i produttori hanno dato sfogo alla creatività generando l’infinita varietà di prodotti che oggi conosciamo.
Ciò rende estremamente complicato esaurire l’argomento in un breve articolo, ma spero comunque di aver fornito qualche nozione utile per capire meglio il mondo della birra e qualche spunto interessante da cui partire per approfondire gli argomenti trattati.

Arrivederci al prossimo articolo! 🍻

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1 La fermentazione alcolica è un processo tramite il quale gli zuccheri vengono convertiti in alcol da microrganismi quali, ad esempio, i lieviti.
2 Con mosto si intende un liquido denso e torbido ottenuto da lavorazioni di disgregazione meccanica di prodotti vegetali eventualmente miscelato ad acqua.
3 Per semplificare, il pH è un parametro chimico-fisico riferito alle soluzioni acquose che ne che misura l’acidità o la basicità utilizzando una scala che va da 0 a 14. A pH 7 una soluzione è definita neutra, a pH inferiori si definisce acida e superiori si dice basica o alcalina.

© FOTO CREDITS:

Per le bellissime foto delle caldaie in bianco e nero e delle bottiglie di birra ringraziamo sentitamente Birrificio del Ducato.
Il resto delle foto, ad eccezione di quella di copertina, sono di stock.

BIBLIOGRAFIA

<a href="https://ilvasodipandoro.com/author/elia-pillitteri/" target="_self">Elia Pillitteri</a>

Elia Pillitteri

Contributor

Ho studiato Scienze e Tecnologie alimentari all’Università di Parma con una tesi nel settore lattiero-caseario, ambito nel quale ho sviluppato un crescente interesse che mi ha portato a diventare assaggiatore di formaggi ONAF. Qui la mia passione per la scienza ha trovato un perfetto campione d’indagine che ha a che fare con la quotidianità: il cibo. Ciò che mi ha spinto fino a qui è la voglia di approfondire la relazione tra uomo e alimentazione. Il mondo degli alimenti è in continuo cambiamento, ma le culture gastronomiche dei vari popoli sopravvivono e, se studiate con attenzione, sono in grado di dirci molto su ciò che siamo.
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