In occasione dell’inizio del Ramadan voglio portarvi in Marocco alla scoperta della Harira, la tradizionale zuppa con cui si rompe il digiuno durante questo mese sacro.

Una delle cose che più ho amato di Parigi è la sua multi-culturalità, che mi ha permesso di entrare in contatto con culture di cui conoscevo poco o niente. Una di queste è sicuramente la cultura araba e la religione islamica. Grazie ad Amine, il mio coinquilino marocchino, ho potuto conoscere alcuni usi e costumi di questo meraviglioso paese, vivere da vicino il periodo del Ramadan e, ovviamente, assaggiare piatti tipici magrebini.

Prima di cominciare ci tengo quindi a ringraziare Amine, ma anche Chaïma e Nesrine, amiche tunisine, per il loro prezioso aiuto e per avermi fatto innamorare delle loro culture rispondendo pazientemente alle mie domande.

HARIRA, LA ZUPPA SIMBOLO DEL RAMADAN

La harira è un piatto tipico della tradizione gastronomica marocchina e diffuso anche nell’Ovest dell’Algeria.
Si tratta di una zuppa molto ricca e nutriente a base di legumi e carne. Benché possa essere consumata tutto l’anno, il periodo in cui viene maggiormente preparata è il mese del ramadan. La harira è infatti il piatto con cui tradizionalmente viene rotto il digiuno durante questo periodo sacro.

È uno di quei piatti la cui ricetta può variare di famiglia in famiglia. Tra gli ingredienti che non possono mai mancare troviamo la carne a dadini, generalmente di agnello, manzo, montone o pollo, i legumi (solitamente lenticchie e ceci), il pomodoro e il succo di limone, aromatizzati con spezie ed erbe.

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A caratterizzare poi questa zuppa è l’aggiunta della tadwira, una salsina di farina o, più raramente, lievito madre mescolati con acqua, che donano al piatto una consistenza densa e un sapore leggermente acido (nel caso del lievito).
La ricetta prevede generalmente due fasi. Per prima cosa si rosola la carne con la cipolla, si aggiungono l’acqua, il pomodoro, i legumi, le spezie (come cannella, paprika, cumino) e qualche volta una manciata di riso, grano o vermicelli di pasta. A parte viene preparata la tadwira: si mescolano la farina o il lievito con dell’acqua, che vengono aggiunti verso la fine della cottura, lentamente per non creare grumi, insieme al succo di limone e le erbe (soprattutto coriandolo e prezzemolo).

È solitamente servita accompagnata da datteri, fichi secchi, dolcetti al miele e uova sode.

Se volete provare a preparare la harira marocchina, Amine consiglia questa video ricetta.
Io mi fido e ve la inserisco di seguito. 😊

LA CHORBA

Esistono moltissime varianti della harira. Una di queste è la chorba, corrispondente della harira diffusa in Tunisia, Algeria e Libia, anch’essa servita alla rottura del digiuno durante il ramadan. La ricetta varia di paese in paese: quella tunisina contiene solitamente carne di vitello o di manzo, ed è più piccante di quella algerina, che contiene coriandolo e menta. A differenza però della harira marocchina, la chorba non contiene lievito o farina e al loro posto si trova spesso del grano verde sminuzzato o vermicelli di pasta.
La diffusione della chorba e delle sue varianti si estende fino alla Romania e ai Balcani, dove prende il nome di ciorbă e assume un sapore più acido, dato dall’utilizzo di crusca di frumento fermentata.

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LA STORIA DELLA HARIRA

Etimologicamente, la radice della parola harira, in arabo حريرة, significa “calore”, “riscaldare” e le vengono attribuiti anche significati come “sete”, “pungente” o “libero”. Tra gli altri nomi con cui può essere chiamata questa zuppa troviamo anche tahrirt (“liberazione”) o bufertuna (“buonafortuna”).

Le origini della harira sono molto antiche. Alcuni ricercatori ipotizzano che una versione primordiale della harira potesse essere senza la carne e solo a base di tadwira, come ancora è preparata in alcune zone, ma non ci sono conferme a questa tesi.

Le prime testimonianze scritte risalgono al Medioevo. Gli esegeti hanno infatti trovato menzione già nel IX secolo di una zuppa con sette ingredienti che assomiglia alla harira. Per questo motivo alcuni studiosi sostengono che abbia un’origine berbera e che facesse parte dei piatti contadini del mondo arabo prima dell’Egira, l’abbandono della Mecca da parte di Maometto e il suo trasferimento a Medina, avvenuta nel settembre del 622 d.C.

Secondo altri la ricetta deriverebbe da una zuppa andalusa, la bufertuna (da buena fortuna, “buona fortuna”), come viene ancora chiamata, soprattutto nelle città di Fez e Rabat. Sarebbe stata introdotta in Algeria nel 902 d.C. da marinai andalusi, prima della caduta di Al-Andalus, ovvero la Spagna islamica sotto dominazione musulmana in epoca medievale.
Questo nome pare derivi dal fatto che nelle ricette più antiche, la tadwira venisse preparata con il lievito preso dall’impasto del pane del giorno precedente e che questo gesto portasse fortuna. Al di fuori del Ramadan, la harira viene servita dopo le nozze, le nascite, le circoncisioni, ma anche i funerali, come buon auspicio legato alle grandi svolte della vita.

Esportata poi nel resto del mondo dagli ebrei marocchini, l’harira compare spesso anche sulla tavola dello Shabbat. Viene servita tipicamente anche a conclusione del digiuno ebraico del Tisha B’Av, giorno di lutto e digiuno nel calendario religioso luni-solare del Giudaismo.

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IL RAMADAN, IL MESE SACRO DELL’ISLAM

Ramadan (رمضان in arabo) è il nome del nono mese dell’anno nel calendario lunare musulmano, di 29 o 30 giorni. È un mese sacro durante il quale, secondo la tradizione islamica, Maometto ricevette la rivelazione del Corano “come guida per gli uomini di retta direzione e salvezza” (Sura II, v. 185).

Il Ramadan è il mese dedicato alla preghiera, alla meditazione e all’autodisciplina, in cui si pratica il digiuno. Questa ricorrenza annuale è considerata uno dei Cinque Pilastri dell’Islam e il digiuno è un precetto religioso per tutti i musulmani praticanti adulti e sani che, dalle prime luci dell’alba fino al tramonto, non possono mangiare, bere, fumare e avere rapporti sessuali.

Sono esentati i minorenni, gli anziani, i malati, le donne che allattano o in gravidanza e anche, temporaneamente, le donne durante il ciclo mestruale e chi è in viaggio.

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Il mese di Ramadan non cade sempre nello stesso periodo del calendario gregoriano ma retrocede ogni anno, perché quello islamico è un calendario lunare (che dura circa 11 giorni meno di quello solare). Le numerazioni degli anni tra i due calendari inoltre non coincidono perché i musulmani iniziano a contare dal 622 d.C. gregoriano, quando Maometto lasciò la Mecca per recarsi a Medina.

È interessante notare inoltre che il Ramadan può iniziare in date diverse da paese a paese, in stagioni diverse con durate del giorno molto diverse. Se ad esempio cade in estate, in Islanda il digiuno può durare poco meno di 22 ore, ossia regolarmente dall’alba (attorno alle 2 del mattino) al tramonto (intorno a mezzanotte). Nello stesso periodo però in Australia è inverno e il digiuno dura poco più di 11 ore, mentre in Alaska nello stesso periodo il sole non tramonta mai. In questi casi l’indicazione è di seguire il calendario di un altro paese.

In ogni caso, il Ramadan è ovunque un momento di condivisione e di unione. È usanza invitare i propri vicini e amici a condividere tutti insieme il pranzo serale e a recitare particolari preghiere dette Tarawih.

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LA ROTTURA DEL DIGIUNO

Una cosa che ho imparato seguendo il Ramadan fatto da Amine è che la rottura del digiuno segue un rituale molto preciso.

Annunciata dallo spettacolare coro dei muezzin di tutti i minareti della città, la rottura del digiuno avviene mangiando per prima cosa dei datteri, frutti molto energetici, con un bicchiere di latte, simbolo di purezza.

Poi segue il pasto serale (iftar) che inizia con una ciotola di harira, accompagnata da fichi secchi, uova sode con cumino e pasticcini.
Generalmente si torna poi alla moschea per un’ultima preghiera e una volta rientrati si fa un secondo pasto a base di insalate, carne e dolci. Alcuni, già sazi, preferiscono saltarlo e mangiare qualcosa prima dell’alba.

SULLA CUCINA MAROCCHINA

PREPARATEVI AL VIAGGIO

Ora che sapete qualcosa in più di questa zuppa regina della cucina marocchina nel mese santo,
non resta che andare ad assaggiarla, speriamo direttamente in Marocco.

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© FOTO CREDITS

La foto della harira in copertina e le cinque foto in serie raffiguranti i piatti tipici del periodo del Ramadan sono gentilmente offerte dal ristorante Riad Majorelle di Milano che ringraziamo moltissimo per la disponibilità.

Le rimanenti foto rappresentanti le pietanze sono di stock.

<a href="https://ilvasodipandoro.com/author/giu-milani92gmail-com/" target="_self">Giulia Milani</a>

Giulia Milani

Founder

Classe 1992, sono la fondatrice del blog. Vengo da Milano (Corsico, per i più pignoli) e mi sono laureata in Scienze Gastronomiche a Parma. Dopo un Master in Cultura del cibo e del vino a Venezia, ho lavorato a Verona e a Parigi, dove è nato Il vaso di Pandoro. Ora sono rientrata a Milano e lavoro in un’agenzia di comunicazione. Più brava a mangiare che a cucinare, amo raccontare la gastronomia attraverso le storie e le tradizioni. Per me viaggiare coniugando le bellezze del territorio con quelle della tavola è il modo migliore per conoscere una cultura.
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