Oggi ci immergiamo all’interno della Pianura Padana, alla scoperta di un sontuoso piatto della tradizione ferrarese: il Pasticcio alla ferrarese. Ferrara è un gioiellino che affonda le sue radici culinarie nel Rinascimento, quando erano gli Estensi a regnare su questi territori.

Prima di partire, devo ringraziare la mia amica Francesca, senza la quale non avrei potuto scrivere questo articolo.

IL PASTICCIO ALLA FERRARESE

Il Pasticcio di maccheroni alla ferrarese, chiamato anche solo Pasticcio di maccheroni, o Pasticcio alla ferrarese, è una ricetta tipica della città di Ferrara.

Questo piatto ricco e goloso consiste in un involucro di pasta frolla dolce al cui interno vengono posti maccheroni precedentemente sbollentati e conditi con ragù bianco di carne (in origine fatto con piccione o creste e bargigli1 di pollo), besciamella, funghi, noce moscata, tartufo Bianchetto di pineta (Tuber borchii) ed eventualmente animelle. Il tutto cotto al forno in uno speciale contenitore in rame stagnato.

Ancora oggi secondo la tradizione è bene mangiarlo a Carnevale, il giovedì grasso, e deve avere la forma dello zuccotto.

Per capire la particolarità di questa sontuosa ricetta, bisogna fare un breve preambolo. La parola “pasticcio” indica tuttora varie preparazioni con diversi ingredienti, racchiuse in un involucro di pasta e poi cotte al forno. Già presente nel De coquinaria di Apicio, si diffuse nei secoli XIV e XV, dove compare in molte delle sue varietà a base di carni, selvaggina, pesci, crostacei, frutta.

Pare che la ricetta nasca dall’esigenza di conservare il cibo più a lungo. Nelle corti ducali vi era infatti la consuetudine di preparare pietanze fatte con ingredienti diversi per farli mantenere nel tempo, da qui la forma a cupola che serve appunto a “racchiudere” gli ingredienti.

Pasticcio-di-maccheroni-alla-ferrarese

Sebbene il pasticcio nelle sue declinazioni sia assai diffuso in tutta Italia, il Pasticcio di maccheroni alla Ferrarese si distingue dagli altri per alcune sue particolarità.
Prima fra tutte l’accostamento fra il dolce della pasta frolla con il salato del ripieno. Questo abbinamento è presente a Ferrara anche nei cappellacci di zucca ed è tipico, in genere, dell’età rinascimentale.

Pasticcio-maccheroni-Elisa-Dondi

Una seconda particolarità è la presenza di ingredienti nobili come tartufo e funghi. La presenza nel pasticcio del tartufo bianchetto è spiegata dal fatto che le terre del ferrarese sono particolarmente vocate alla crescita di questo particolare fungo, tanto da essere una delle aree di produzione più importanti a livello nazionale.
Si trovano infatti sia il tartufo Bianco pregiato, il tartufo Scorzone (nero estivo) e il tartufo Bianchetto. Quest’ultimo è tipico soprattutto nelle zone con terreno più sabbioso del Basso Ferrarese.
Pur essendo una varietà meno pregiata rispetto al tartufo bianco, il Bianchetto è considerato eccellente per l’impiego gastronomico. A differenza di quello bianco infatti sopporta bene le alte temperature della cottura.

Un altro elemento curioso è che la ricetta originale prevederebbe l’utilizzo della carne di piccione per il ragù, secondo un uso antico conservatosi anche in altre cucine regionali. Nel tempo, anche per motivi sia sanitari che animalisti, l’impiego del piccione in cucina è andato generalmente diminuendo e anche nel caso del pasticcio si è preferito fare ricorso ad altre carni: vitello, manzo, pollo (per lo più tutte insieme).

LE ORIGINI DEL PASTICCIO FERRARESE

La storia del Pasticcio di maccheroni ferrarese risale al Rinascimento e all’epoca dei banchetti rinascimentali, così frequenti presso la corte degli Este.

Pare infatti che il Pasticcio di maccheroni alla ferrarese, detto anche il Pastiz del Duca, fu preparato per la prima volta nel 1528 dal cuoco e scalco2 di casa d’Este, l’italiano Cristoforo da Messisbugo3, per le nozze del duca di Ferrara Ercole II d’Este con Renata, figlia del Re di Francia. La presenza di Renata di Francia fece sì poi che si formasse una Corte alla francese con sfarzi, feste e pranzi che diede una svolta importante a quella che poi fu la cucina di Ferrara città ducale, all’interno della quale il pasticcio mantenne sempre un ruolo di assoluto primo piano.

In occasioni come queste lo sfarzo e il potere della signoria raggiungevano la massima espressione a tavola, con piatti complessi fatti di ingredienti costosi e preziosi, in primis carni, zucchero e spezie. A quei tempi il pasto non aveva la nostra scansione antipasto-portata principale-dessert (dettata a fine 800 da Escoffier4), ed era normale che dolce e salato si trovassero accostati tra un piatto e l’altro, se non addirittura nello stesso piatto.

Ferrara_castello_Pasticcio_ferrarese

L’inserimento nella ricetta dei maccheroni, tipo di pasta diffusa al sud, è spiegato invece dal matrimonio tra Eleonora d’Aragona, figlia di Ferdinando I di Napoli, e Ercole I d’Este, avvenuto nel 1473, che diede vita a scambi culturali fra le due signorie.

La ricetta originale subì poi varie modifiche, come la scomparsa del piccione e delle frattaglie, fino al 1700, quando iniziarono a circolare le prime ricette documentate.

FOOD TOUR ED ESPERIENZE GASTRONOMICHE A FERRARA

State programmando una visita a Ferrara? Ecco qualche consiglio di esperienze per scoprire le bellezze gastronomiche della città.

IL PASTICCIO DI MACCHERONI DI PELLEGRINO ARTUSI

La ricetta del Pasticcio di maccheroni rientra tra quelle selezionate da Pellegrino Artusi5 nel suo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene ” del 1891.
Interessante notare che anche l’Artusi fa riferimento al piatto da pasticcio, con esplicito riferimento all’uso che se ne faceva in Romagna, e che il piccione non viene neanche nominato.
L’Artusi dice che “i cuochi di Romagna sono generalmente molto abili per questo piatto complicatissimo e costoso, ma eccellente se viene fatto a dovere, il che non è tanto facile. In quei paesi questo è il piatto che s’imbandisce nel carnevale, durante il quale si può dire non siavi pranzo o cena che non cominci con esso, facendolo servire, il più delle volte, per minestra.”

LA RICETTA DI PELLEGRINO ARTUSI

Nella foto trovate il testo originale della ricetta del Pasticcio di Ferrara di Pellegrino Artusi (in un’edizione del 1950 che apparteneva alla mia nonna), da considerarsi ormai più un documento storico che una vera e propria ricetta.

Il pasticcio di maccheroni si presenta come un piatto molto raffinato, dalla preparazione molto laboriosa. Ciò si coniuga anche con il periodo in cui era solito essere consumato. Come abbiamo anticipato infatti, si tratta di un pasto che veniva preparato in occasione del Carnevale, prima del periodo quaresimale. Un momento di sospensione degli stenti, esorcismo della morte e godimento della vita attraverso i piaceri del palato.

Pasticcio_ferrarese_Osteria_La_Compagnia

UN TEGAME INDISPENSABILE

Secondo la tradizione, la cottura del pasticcio deve avvenire in un apposito tegame, detto appunto piatto da pasticcio, in rame stagnato, il quale, avendo grande capacità termica, consente una cottura adeguata. Era interamente lavorato a mano e ogni famiglia nobile ferrarese lo decorava con una fantasia differente, diventando così una sorta di blasone.

IL PASTICCIO FERRARESE IN LETTERATURA

Senza rendervene conto, avete quasi sicuramente già letto una descrizione del Pasticcio ferrarese. Sì, perché a parlare di questa prelibatezza fu niente di meno che Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo celeberrimo romanzo “Il Gattopardo”. Anche se con alcune varianti della ricetta isolana rispetto a quelle sopra descritte, Tomasi di Lampedusa descrive così il pasticcio del Duca:

Buone creanze a parte, però, l’aspetto di quei monumentali pasticci era ben degno di evocare fremiti di ammirazione.
L’oro brunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e
cannella che ne emanava, non erano che il preludio della
sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno, quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva
dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e tartufi nella massa untuosa, caldissima, dei maccheroni corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio
”.

GUIDA ALL’ACQUISTO

La nostra passeggiata in compagnia di Francesca è giunta alla fine.

La tradizione del Pastiz è ancora viva: viene realizzato ancora oggi dai ristoranti e dalle gastronomie della città e della provincia di Ferrara, dove accanto alla pasta frolla dolce viene usata la pasta salata sfoglia o brisé.
Il consiglio di Francesca è però quello di assaggiarlo nella versione originale con la crosta dolce perché “è una vera bomba gastronomica 😉 ”

Vicoli_Ferrara_Pasticcio_ferrarese
Francesca-Dondi

Visto che non mi piace parlare di prodotti di cui non mi sento adeguatamente esperta, per scrivere questo articolo ho chiesto aiuto ad un’amica speciale.
Francesca è una mia compagna della facoltà di Scienze gastronomiche, nata e cresciuta a Bondeno, in provincia di Ferrara. Nonostante la sua modestia, Francesca è una delle persone più preparate che io conosca in ambito eno-gastronomico e, ovviamente, mio punto di riferimento per la tradizione gastronomica ferrarese.
Nessuno meglio di lei quindi poteva raccontarci i segreti di questa specialità, immancabile ancora oggi sulle tavole dei ferraresi.

1 I bargigli sono le appendici carnose, rosse o rosso-brune, che pendono sotto il becco dei galli, dei tacchini e di altri gallinacei.

2 In età rinascimentale e barocca lo scalco era il soprintendente alle cucine principesche e aristocratiche: spettava a lui selezionare e dirigere i cuochi e la servitù e organizzare i banchetti nei minimi dettagli. I più noti furono:

  • Bartolomeo Sacchi, detto “il Platina”, al servizio dei Gonzaga, di papa Sisto IV e autore del De honesta voluptate et valetudine;
  • Maestro Martino, autore del Libro de Arte Coquinaria;
  • Cristoforo di Messisbugo, alla corte Estense a Ferrara;
  • Bartolomeo Scappi, alla corte papalina di Pio V, scrisse Opera Di M. Bartolomeo Scappi, Cvoco Secreto Di Papa Pio V, il più grande trattato di cucina del tempo;
  • François Vatel, maestro di cerimonia di Luigi II di Borbone-Condé.

3 Cristoforo di Messisbugo, o Messi Sbugo, (… – Ferrara, 1548) è stato un cuoco italiano. Occupò importanti incarichi presso la corte degli Estensi, come amministratore di fondi ducali e soprattutto in qualità di scalco. Scrisse un importante libro di ricette intitolato Banchetti composizione di vivande e apparecchio generale, considerato una pietra miliare nella storia della gastronomia europea del Rinascimento.

4 Georges Auguste Escoffier (1846 – 1935) è stato un cuoco francese che rivoluzionò l’immagine del cuoco e della cucina, il servizio di sala e l’utilizzo delle materie prime in tutta Europa.

5 Pellegrino Artusi (1820 – 1911) è stato uno scrittore e gastronomo italiano, autore del celeberrimo libro di ricette: La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. L’opera di Artusi è doppiamente importante: non fu solo fondamentale per la creazione di una cucina nazionale che riunì le tante tradizioni regionali, ma contribuì anche notevolmente alla diffusione della lingua italiana sul territorio nazionale. La Scienza in cucina è ininterrottamente editato da oltre cent’anni.

© FOTO CREDITS

Ringrazio per la disponibilità l’Osteria La Compagnia di Ferrara e la Trattoria da Noemi di Ferrara, che mi hanno gentilmente fornito le foto delle loro creazioni artigianali e che consigliamo ovviamente di andare ad assaggiare. Per le prime tre foto del Pasticcio ringrazio la redazione di MTChallenge e l’artista Elisa Dondi. Le foto della città di Ferrara sono prese da stock.

<a href="https://ilvasodipandoro.com/author/giu-milani92gmail-com/" target="_self">Giulia Milani</a>

Giulia Milani

Founder

Classe 1992, sono la fondatrice del blog. Vengo da Milano (Corsico, per i più pignoli) e mi sono laureata in Scienze Gastronomiche a Parma. Dopo un Master in Cultura del cibo e del vino a Venezia, ho lavorato a Verona e a Parigi, dove è nato Il vaso di Pandoro. Ora sono rientrata a Milano e lavoro in un’agenzia di comunicazione. Più brava a mangiare che a cucinare, amo raccontare la gastronomia attraverso le storie e le tradizioni. Per me viaggiare coniugando le bellezze del territorio con quelle della tavola è il modo migliore per conoscere una cultura.
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