Feuerbach disse che l’uomo è ciò che mangia. Fosse stato al tavolo con la mia famiglia il 24 dicembre, avrebbe indubbiamente sostenuto che siamo una famiglia di polpette. Ogni volta che mia madre o mia nonna mi chiedono cosa voglia mangiare è pressoché impossibile che io non risponda “le polpette”.
Insomma, avrete ormai capito che sono il mio comfort food per eccellenza. Tralasciando l’elogio semplicistico a Feuerbach e alle meravigliose polpette di mia mamma, trovo che dietro alle polpette, così come al pane, ci sia un’identità culturale variegata e al tempo stesso unica.
INDICE
LE POLPETTE IN ITALIA E NEL MONDO
Parafrasando Lorenzo Dabove, famoso profeta1 della birra artigianale italiana, la polpetta non esiste, esistono le polpette.
Questo concetto ha una veridicità doppia. La prima è che in ogni casa, paese, nazione esistono una varietà incredibile di modi di fare polpette e l’unico elemento comune a tutte è la forma sferica, più o meno imperfetta. La seconda verità, e mi sento libera di dire, assoluta, è che è fisicamente impossibile mangiare una sola polpetta. Credo possa essere una prerogativa solo di un folle decisamente morigerato.
Esattamente come Pellegrino Artusi non ho alcuna pretesa di darvi la ricetta perfetta delle polpette. Quello che possiamo dire però è che tra gli ingredienti più ricorrenti troviamo la carne trita, uovo, parmigiano, latte, prezzemolo, pane e sale. Dopo aver creato delle piccole sfere è bene tenere a mente che, come sostiene Massimo Montanari, “il riposo della polpetta è come il riposo dei pensieri, dopo un po’ vengono meglio”.
Nelle innumerevoli varianti si possono trovare impasti a base di carne, pesce o verdure, crudi o cotti, con l’aggiunta di infiniti altri ingredienti a piacere. Anche il metodo di cottura può variare: c’è chi preparare le polpette fritte, chi al forno, chi in umido.



Tutte le regioni d’Italia hanno la loro versione. Dai mondeghili lombardi preparati con carne cotta, aglio, prezzemolo e mortadella, alle polpette toscane con avanzi di lesso, con patate, parmigiano e prezzemolo, alle polpette al sugo tipiche calabresi e campane, alle siciliane cotte nello spiedo e insaporite da pecorino e prezzemolo.
Anche uscendo dall’Italia le polpette sono molto diffuse. In molti paesi nordici come Germania, Danimarca, Austria e Norvegia sono diffuse le frikadellen, a base di carne bovina, pane, uova e cipolle. In Svezia abbiamo le più famose köttbullar, a base di maiale, vitello e cipolla, in America le meatballs, in Cina le cosiddette teste di leone. Tra le più famose polpette vegetali ci sono i falafel, a base di ceci, verdure e aromi e diffuse in tutto il Medio Oriente. Ancora, in Iran troviamo le kufteh, nelle Filippine le almondigas, in Armenia e Libano i kibbeh e la lista potrebbe continuare ancora molto.
LA STORIA DELLE POLPETTE
Non abbiamo notizie certe sulla nascita delle polpette, ma “come quasi sempre accade, la storia di nomi è storia di cose”.
Si dice che la storia delle polpette cominci in Persia, dove sono note con il nome di kafta. Dalla Persia la diffusione si estende in tutto il Medio Oriente e dall’unione della cultura araba con quella Persiana abbiamo la nascita delle bonâdiq.
La fortuna di questo piatto e la loro grande diffusione è data molto probabilmente dalla loro grande versatilità e dal fatto che si prestano molto bene ad essere un piatto di recupero. Infatti nelle ricette ricorre l’uso di carne già cotta, avanzata da piatti precedenti. Questa usanza risale ai tempi in cui l’assenza di frigorifero rendeva frequente e necessario il riutilizzo degli avanzi.
Probabilmente “l’inventore” di questa pietanza fu Marco Gavio Apicio, cuoco romano del I sec a.C. che cucinava delle polpette sia di carne che di pesce. Nei libri di ricette di Apicio non compare però la parola “polpette”, che lui chiama invece con il nome di “isicia omentata”.

POLPETTE NON POLPETTE DI MAESTRO MARTINO
La prima attestazione della parola polpetta risale al XV secolo. La troviamo nel Libro de arte coquinaria del cuoco e gastronomo Maestro Martino.
“Per fare polpette di carne de vitello o de altra bona carne, in prima togli de la carne magra de la cossa et tagliala in fette longhe et sottili et battile bene sopra un tagliero o tavola con la costa del coltello, et togli sale et finocchio pesto et ponilo sopra la ditta fetta di carne. Dapoi togli de petrosimolo, maiorana et de bon lardo et batti queste cose inseme con un poco de bone spetie, et distendile bene queste cose in la dicta fetta. Dapoi involtela inseme et polla nel speto accocere. Ma non la lassare troppo seccar al focho”.
Dalla descrizione pare però non somiglino alle nostre attuali polpette, ma piuttosto a degli involtini. Indipendentemente da ciò, questa potrebbe essere la prima vera ricetta dedicata alle polpette.

LA PRIMA RICETTA DELLE POLPETTE DI BARTOLOMEO SCAPPI
Per quanto riguarda invece la prima vera e propria testimonianza, sia dal punto di vista linguistico che della ricetta, ci rifacciamo a Bartolomeo Scappi (1500-1577). Cuoco italiano, Scappi scrisse uno dei più grandi manuali di cucina: un trattato che racconta di ricette e strumenti che l’autore riteneva indispensabili per un cuoco di quell’epoca.
In una sezione dei suoi scritti intitolata “per far polpette e polpettoni della carne” l’autore si dilunga ampiamente sull’argomento, dedicando a queste piccole sfere un tono di ricercatezza senza precedenti.
Anche Bartolomeo Stefani, cuoco italiano del XVII secolo, nella sua opera L’arte di ben cucinare trova spazio per descrivere le polpette alla romana.
LE POLPETTE DI PELLEGRINO ARTUSI, RICETTA #314
“Non crediate che io abbia la pretensione d’insegnarvi a far le polpette. Questo è un piatto che tutti lo sanno fare cominciando dal ciuco, il quale fu forse il primo a darne il modello al genere umano […]”
Così Pellegrino Artusi (Forlimpopoli 1820 – Firenze 1911), scrittore e gastronomo italiano, autore de La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene2, ci ricorda senza troppi vezzeggiativi come sia semplice l’esecuzione di questa meravigliosa ricetta.
Artusi dedica a questa pietanza almeno altre tre ricette. La prima è quella del polpettone, o come direbbe Artusi, il “Signor polpettone”, attribuendo il titolo di signore al piatto per enfatizzare la sua bontà indipendentemente dalle umili origini. Segue il polpettone di carne cruda alla fiorentina e ultime, ma non per leggerezza, le polpette di trippa.
Tra le numerose ricette inserite da Pellegrino Artusi della sua opera c’è anche il pasticcio di maccheroni alla ferrarese, di cui vi abbiamo parlato in un articolo dedicato.
LA PITINA FRIULANA: LA POLPETTA CHE DIVENTA SALUME
Una curiosità riguardante le polpette è che nel Nord Italia viene prodotto un salume dalla particolare forma di polpetta: la Pitina. Si tratta di un salume prodotto nelle valli a nord di Pordenone che nasce dall’esigenza contadina di conservare la carne ed è a base di carne di camoscio, capriolo, pecora o capra.
Per preparare la pitina, una volta disossato l’animale, la carne viene tritata, si aggiungono le spezie e si formano delle piccole polpette. Vengono poi fatte rotolare nella farina di mais e affumicate.
La pitina si consuma cruda tagliata a fette, ma può anche essere gustata cotta in molteplici modi.
Il prodotto oggi è un Presidio Slow Food3, nato per preservare e far conoscere questo prodotto di nicchia.
POLPETTE E FUTURISMO: IL CARNEPLASTICO
Forse non tutti sanno che tra le forme espressive coinvolte nella rivoluzione reclamata dal Futurismo4 ci fu anche la gastronomia. Nel 1931 Filippo Tommaso Marinetti pubblicò il Manifesto della Cucina Futurista, una rielaborazione in chiave culinaria del Manifesto del Futurismo. Tra le convinzioni del futuristi ci sono l’eliminazione della pastasciutta5, l’abolizione della forchetta e del coltello, dei condimenti tradizionali e via dicendo.
Tra le sue improbabili creazioni culinarie, Filippo Tommaso Marinetti nel Manifesto futurista racconta una elaborata, quanto disgustosa creazione a base di un’enorme polpetta cilindrica, il “Carneplastico”.
Appellandosi alla regola imprescindibile dell’originalità creativa e dell’assenza di plagio, che caratterizza ogni piatto del manifesto, scrive:
“Il Carneplastico creato dal pittore futurista Fillìa, interpretazione sintetica dei paesaggi italiani, è composto di una grande polpetta cilindrica di carne di vitello arrostita ripiena di qualità diverse di verdure cotte. Questo cilindro disposto verticalmente nel centro del piatto, è coronato da uno spessore di miele e sostenuto alla base da un anello di salsiccia che poggia su tre sfere dorate di carne di pollo”.

Non so voi, ma dalla descrizione non immagino un sapore troppo convincente. D’altronde lo stesso manifesto dichiara guerra alla pastasciutta. Affermazione che necessita di pochi commenti.
POLPETTE, CINEMA E ITALIA
Trascurando la realtà dei fatti sulla dubbia provenienza delle polpette è più che vero che esista un’associazione generale tra Italia e polpette. Per questo motivo forse la ritroviamo come rappresentante della cucina italiana in molte pellicole cinematografiche.
Tre sono secondo me i film più importanti, che vi raccomando fortemente di guardare nel caso non li abbiate già visti. Limiterò la descrizione per evitare spoiler, azione considerata quasi sacrilega quanto il disprezzo nei confronti delle polpette.
Iniziamo con “Goodfellas” di Martin Scorsese.
Un gruppo di giovani di origine italiana e dalla dubbia moralità è in prigione. Questo per noi comuni mortali potrebbe essere un ostacolo alla realizzazione di invitanti manicaretti, ma non per quei bravi ragazzi, che si dilettano nella realizzazione del sugo con le polpette.
Ne “Il Padrino” di Francis Ford Coppola, Clemenza, si diletta con offerte irrifiutabili a Michael Corleone: “Vedi, si comincia con un poco d’olio, ci friggi uno spicchio d’aglio poi ci aggiungi tomato e anche un poco di conserva. Friggi e attento che non si attacca; quando tutto bolle ci cali dentro salsicce e polpetta, poi ci metti uno schizzo di vino e nù pucurille ‘e zucchero”.
E infine chiudiamo con una nota in cui gangster e polpette non sono i protagonisti. Lilli e il vagabondo è la fantastica storia d’amore tra due cuccioli di ceti sociali diversi, nulla che la condivisione di un piatto di spaghetti e polpette in una piccola osteria italiana non possa appianare.
Biagio (il vagabondo), giunto alla fine del piatto di spaghetti, cede l’ultima polpetta a Lilli, apprendendo una già nota lezione.
Ciò che rende speciali le polpette, oltre al loro sapore unico, è che, come ci insegna Massimo Montanari,
non si possono dividere ma solo condividere.
PER APPROFONDIRE: LIBRI DA NON PERDERE

1 Lorenzo Dabove è un esperto del settore brassicolo il cui primo postulato è “La birra non esiste, esistono le birre!”. La frase di Dabove fa riferimento al mondo delle birre artigianali. Questo settore, infatti oltre alla molteplicità di stili e ingredienti è caratterizzato anche dall’interpretazione di ogni birrificio e mastro birraio ampliando così la varietà di birre artigianali nel mondo.
2 La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi fu un’opera molto importante per l’Italia: non fu solo fondamentale per la creazione di una cucina nazionale che riunì le tante tradizioni regionali, ma contribuì anche notevolmente alla diffusione della lingua italiana sul territorio nazionale. È un libro ininterrottamente editato da oltre cent’anni.
3 I Presìdi Slow Food sono comunità di Slow Food che lavorano per salvare dall’estinzione prodotti, razze e varietà di ortaggi e frutta poco conosciuti o consumati. Si impegnano a tramandarne cultura e mestieri e salvaguardare la biodiversità.
4 Il Futurismo fu un movimento letterario, artistico e politico, fondato nel 1909 da Filippo Tommaso Marinetti. Attraverso una serie di “manifesti” e polemiche, propugnò un’arte e un costume che avrebbero dovuto fare tabula rasa del passato e di ogni forma espressiva tradizionale, ispirandosi al dinamismo della vita moderna, della civiltà meccanica, e proiettandosi verso il futuro fornendo il modello a tutte le successive avanguardie.
5 Il Manifesto della Cucina Futurista è un insieme di precetti e obiettivi relativi alla gastronomia italiana, tra cui l’abolizione della pastasciutta. L’autore infatti, ritiene che sia un alimento che non caratterizza l’Italia del suo periodo storico e sarebbe opportuno dunque eliminarla. Marinetti scrive: “assurda religione gastronomica italiana accusata di contrastare collo spirito vivace e coll’anima appassionata generosa intuitiva dei napoletani […] Nel mangiarla essi sviluppano il tipico scetticismo ironico e sentimentale che tronca spesso il loro entusiasmo.”
© FOTO CREDITS
Ringrazio di cuore, per la loro disponibilità e per le bellissime foto dei loro piatti di polpette, i ristoranti: Polpetta e lo chef Giovanni Nerini, Rumori Polpetteria, Sa Scolla e lo chef Francesco Vitale.
Nel dettaglio, a parte la foto di copertina che è di Giulia, in ordine di apparizione, le foto 1, 2 e 3 sono del ristorante Polpetta, la foto 4 di Rumori Polpetteria, la foto 5 di Sa Scolla, la foto 6 del ristorante Polpetta.
BIBLIOGRAFIA
- Pellegrino Artusi. La scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene
- Maestro Martino. Libro de Arte Coquinaria
- Massimo Montanari. Il riposo della polpetta
- Massimo Montanari. La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa.
- Enciclopedia della cucina. A cura di Allan Bay
SITOGRAFIA

Giulia Cau
Contributor
Penso che mi metterò a fare polpette di melanzane uno di questi giorni
Poi ne vogliamo un po’ anche noi però! 😉
Bellissimo articolo, bravissima!
Grazie mille Greta! Ci fa molto piacere che ti sia piaciuto. 🙂
Splendida esposizione, e con orgoglio posso affermare di aver arricchito le mie conoscenze storiche e culinarie sulle polpette.
Grazie mille Luciana per il bellissimo commento, ne siamo molto felici. 🙂
Che dire Giulia….. Uno studio ricco e appassionato su un argomento che mi ha sempre incuriosita. L acquolina in bocca per le per le minuziose descrizioni e ammirazione per l interessante parallelismo con storia e arte. Viva le polpette…… Viva Giulia
Grazie mille Pina per le belle parole, siamo felici che ti sia piaciuto.🙂